Ci sono film che hanno l'abilità o la fortuna di cogliere lo spirito dei tempi e bisogna dire che quest'anno gli Oscar ne hanno incoronati almento due: il trionfatore Nomadland, che affida alla sgualcita e bravissima Frances McDormand la visione più apocalittica di dove sta andando la società che fu dell'opulenza, in cui gli unici zombie siamo noi che la abitiamo, e poi ovviamente l'Una Donna Promettente (un titolo finalmente ben tradotto), di cui qui parliamo più diffusamente (e di cui vedete ai lati il poster italiano e uno internazionale, in apertura quello sfizioso americano col rossetto e qui sotto il trailer).
Primo lungometraggio diretto da Emerald Fennel (nota come interprete della serie Killing Eve), vale alla 36enne debuttante regista la meritatissima statuetta per una sceneggiatura d'acciaio, che non ti molla un istante per i 108' del film, riuscendo a farti più volte sorridere amaramente ma di gusto su un altro problema d'attualità, quello delle molestie sessuali praticate su vittime stordite da alcol o droghe, quindi non in condizioni di opporsi. Una porcheria purtroppo di grande attualità, specie in Italia dove pure uno squallido caso di quel genere riesce a sfumare in un (penoso) pseudo dibattito politico, in quanto l'accusato è figlio di un celeberrimo opinion leader appunto della politica nazionale.
Sorridi perché, nonostante il tema scottante - e qui è fondamentale la mano femminile - il film non scade mai nella predica ideologica greve (*), ma anzi riesce a divertire molto per le feroci e meritate beffe che Cassandra (la bravissima Carey Mulligan, praticamente in scena dall'inizio alla fine e anche coproduttrice del film) ordisce a quei bambascioni di maschietti che rimorchia senza sforzo ogni venerdì in un locale diverso, fingendosi ciucca marcia e così illudendoli di una scopata facile, per poi sfilargliela di sotto il naso mostrandosi assai più lucida e combattiva di loro, oltre che di quanto i miseri s'aspettassero da lei.
Ma sorridi amaro su un baratro: la giovane "promettente" lavora come barista avendo mollato l'agognata facoltà di medicina dopo che la sua migliore amica è finita vittima proprio di quell'abuso di gruppo da festa alcolica, condito di video documentativo virale, e si è quindi suicidata per l'umiliazione.
Ora Cassie si vendica a caso sulla specie maschile, finché scopre che Al, autore impunito dello stupro originario, ormai medico in carriera come lei e la sua amica non saranno mai, per di più sta convolando a nozze con l'ideale "brava ragazza" ignara delle sue passate malefatte: è ora d'affilare le armi e punire i veri colpevoli diretti del misfatto di sette anni prima, fra i quali scopriremo che figura persino un paio di donne "collaborazioniste": una compagna d'università coetanea (a sua volta oggi moglie felice) e la preside del college, all'epoca troppo tenera colle colpe difficili da provare degli intemperanti maschietti.
Svelarvi le sapide vendette per contrappasso architettate dall'ingegnosa giustiziera barista sarebbe un nuovo stupro, perché sono tutte impagabili e meritano d'essere scoperte al cinema, ora che si può ancora (ma se volete rovinarvele su Wikipedia c'è tutto); perché, anche se in realtà non scorre mai neppure un goccia di sangue, la giustizia biblica di Cassie lascia sempre il segno.
La sceneggiatura è poi anche raffinatissima nell'illuderci che la nemesi della moderna Cassandra (nome scelto di certo non per caso) si stia stemperando nella commedia sentimentale sdolcinata e rabbonita, col fidanzamento di Cassie con Ryan, finalmente il provvidenziale "ragazzo giusto" anche per lei, ex compagno d'università oggi medico pure lui naturalmente: è lo pseudo-Gosling Bo Burnham con cui la Mulligan ricostruisce un'ideale coppia romantica come ai tempi di Drive, ed è tanto buonino e dolce (a sinistra una scena coi due teneroni insieme). Ma...
Ma in realtà siamo ancora solo al secondo atto della drammaturgia classica: e quando nel terzo la vicenda svolta verso il thriller (e anche qui "più non dimandar") la mazzata arriva ancor più forte. Il dramma finale è una raffica di colpi di scena imprevedibili per cui continui a dirti "Ah! Ma oh! Allora finisce così? Oh no...!"
Efficacia che renderebbe la pellicola utilissima proiezione nelle scuole, per spiegare alle ragazze i loro diritti e far evolvere nei ragazzi un concetto di virilità meno da era delle caverne, visto che pare ancora così diffuso. Perché va detto che - da uomini - pensare di doversi specchiare nei volgari goliardi testosteronici del film non è proprio bello affatto.
Personalmente mi ha fatto riflettere sulla discussione avuta in casa con coniuge e figlia appunto in età universitaria allo scoppiare del citato "caso Grillo", proprio sulla facilità con cui una sbronza o un presunto atteggiamento "leggero" possono trasformarsi in alibi per processare più la vittima che i colpevoli dell'abuso.
Vedete il film e fate attenzione alle strategie difensive per infangamento della vittima ammesse dall'ex avvocato (vincitore facile) del giovane stupratore universitario: fanno accapponare la pelle.
In conclusione, se Nomadland è la fantascienza apocalittica del presente, Una Donna Promettente è l'horror nella più squisita accezione di Tiziano Sclavi, quella in cui i mostri siamo noi, anche senza alcuna possessione da parte di un demone sumero.
Ci bastano tre liquorini da supermercato.
Mario G
(*) Il film sarà nelle sale italiane dal 24 giugno (anziché dal 13 maggio come previsto) perché sembra che il politically correct abilmente evitato dalla regista abbia invece colpito in pieno il pubblico: la capa di Cassie al bar, la spiritosa Gail, è interpretata sullo schermo dalla transgender Laverne Cox, fisico robusto e vocione profondo (chi scrive ha visto in anteprima la versione originale con sottotitoli). La Universal l'aveva fatta doppiare da un uomo, scelta non stupefacente e comunque puramente tecnica, che pare abbia invece suscitato un vespaio di polemiche, le quali hanno indotto la major a far ridoppiare la parte da una donna, trincerandosi dietro un rigoroso "no comment" sulla vicenda. Che, dato il tema del film, a noi sembra tanto il classico caso dello stolto che guarda il dito quando il saggio gli indica la luna. Ma che volete, è sempre l'Italia, stiamo ancora combattendo scioccamente sulla linea-Zan...