Non si sa come né perché, ma c’è stata un’apocalisse.
Non si sa come, ma i pochi superstiti umani hanno ricostruito una civiltà. Facendo tesoro dell’esperienza: hanno creato una comunità unita e solidale, un mega kibbutz in cui nascita, educazione, tutta la vita è socializzata, ossia benevolmente quanto fermamente gestita con implacabile razionalità dal consiglio degli anziani capeggiato da Meryl Streep, che tutto vede e provvede, assegnando ad ogni adolescente il lavoro ideale e il giusto ruolo nella comunità; un mondo in cui nessuno è ricco e nessuno povero, dove miracolosamente si vive preservati dall’odio e dall’invidia, dalle rivalità d’ogni tipo e dove cupidigia e guerra nemmeno si sa cosa siano.
Com’è possibile? Semplice: con un’iniezione quotidiana che sterilizza ogni cittadino dalle emozioni. No, non proprio ogni. Uno ancora sa cosa sono: è Jeff Bridges (qui a destra colla Streep e sotto a sinistra col fantasma della figlia morta, anche coproduttore del film), il custode della memoria su com’era l’umanità prima della catastrofe. Il giovane Jonas (Brenton Thwaites, visto in Oculus e Maleficent), che il consiglio ha designato come suo successore, il nuovo Accoglitore di Memoria, si reca nella sua magione ai confini della comunità, l’unica a contenere ancora una specie di Biblioteca di Babele degli antichi libri, per ricevere la prevista formazione al semi sacerdotale ruolo.
Una vera fortuna: niente versioni di latino e greco, niente disequazioni fratte, né lettura a marce forzate della letteratura dall’Odissea all’Ulisse e alla fantascienza Urania: basta stringere gli avambracci del saggio Bridges per essere travolto da flash impetuosi, le visioni del mondo che fu.
Tutto il nostro dannato mondo, pieno di paesaggi naturali fantastici, di colori (il futuro è in bianco e nero per non svegliare pericolose emozioni nelle anestetizzate formiche operaie della società dell’armonia coatta, v. foto a destra), di musica e matrimoni danzanti, di un’infinita varietà di culture, costumi (nella comunità tutti vestiti uguali, ovvio) e religioni (abolitissime come fonte di fanatismo).
Persino, eh sì, di amore. E sarà proprio questa scoperta, l’amore che nasce per la coetanea Fiona (Odeya Rush, col protagonista nella foto in b/n qui a sinistra e sotto a destra) a dare a Jonas la spinta finale verso la ribellione contro un sistema dolcemente spietato, che pratica l’eugenetica eliminando i bambini difformi dai prescritti parametri di crescita e (ci dicono) anche gli anziani. Che, insomma, ha solo imbellettato l’omicidio attraverso l’equilibrio sociale.
Non si sa come né perché, ma se Jonas superasse la soglia detta Confine della Memoria, tutte le conoscenze e le emozioni negate ai suoi simili, e da lui riscoperte grazie al Donatore (The Giver, titolo originale del nostrano Il Mondo di Jonas) Bridges, rifluirebbero nella comunità. Ed ecco che allora l’eletto si lancia in una fuga disperata (foto sotto a sinistra), cercando di salvare la vita al neonato Gabriel, condannato dagli anziani al “congedo”, e all’amata Fiona, destinata alla stessa iniezione letale per averlo aiutato nella trasgressione.
Adattando l’omonimo romanzo per ragazzi del ’93 di Lois Lowry (da noi riedito da Giunti), parte dell’inevitabile tetralogia - che, se questo film avrà successo, alimenterà gli altrettanto inevitabili seguiti - Philip Noyce (regista di Ore 10: Calma Piatta, Il Collezionista di Ossa e Salt) strizza l’occhio a saghe già cult per il suo pubblico young adult, su tutte Divergent, a una prima occhiata simili nell’impianto, anche se prive dei sottotesti ideologico religiosi evidenti in The Giver.
Noyce non è Kubrick né Ridley Scott, certo, ma sa il fatto suo: il suo futuro levigato e uniforme ha radici nell’Uomo che fuggì dal Futuro di Lucas (THX 1138), ne la Fuga di Logan e, ancor più indietro, nell’immortale romanzo Il Mondo Nuovo di Huxley. E l’idea di visualizzare un mondo anemozionale attraverso immagini in b/n, recuperando gradualmente i cromatismi reali di cose e persone man mano che il protagonista riscopre le emozioni sopite è semplice quanto efficace.
Di sicuro non mancano anche le ampollosità e un certo gusto mélo new age (le immagini di riscoperta di paesaggi, culture e civiltà sono un misto di National Geographic e CL): del resto, coproduttore del film è il colosso cattolico Walden Media del miliardario Philip F. Anschutz, già finanziatore del ciclo di Narnia. Il che spiega i messaggi che, dicevamo sopra, trapelano dalla trama: i “cattivi” proibiscono emozioni ed amore, una mostruosità che ce li rende odiosi; insieme a questi concetti, su cui tutti ci troveremo d’accordo, la pellicola ce li mostra anche antireligiosi, propensi all’eugenetica (aborto?), all’eutanasia… è tutto ben chiaro? Se no, notate i tratti da “fuga in Egitto della Sacra Famiglia” che assume il tentativo di Jonas di salvare il neonato (di nome Gabriel, mica nessuno eh!) attraverso deserti biblici e nevi, fino a una casetta dove si… festeggia il Natale!
Ma non si può negare che, specie in questo momento storico in cui guerre e violenze assurde riesplodono in ogni angolo del globo (toccanti le scene in cui Jonas, dopo il bello del mondo, deve scoprire anche l’orrore bellico), il dubbio se sia davvero meglio questo mondo di merda o una società anestetizzata ma almeno armoniosa non ci tocchi almeno per un istante. E, anche negli altri istanti, pur nella retorica dei toni e nella sbrigatività di un finale un po’ frettoloso (in vista di sequel?), l’emozione non latita mai (come accadeva peraltro anche col citato Cronache di Narnia). E non era questa alla fine la “sospensione dell’incredulità”, obiettivo primo di ogni narrazione fantastica (e non solo)?
Gli young (e i meno) adult si emozioneranno con Jonas e il suo mondo, distribuito nelle sale italiane da Notorious Pictures, a partire dall’11 settembre.
Mario G