“In quei giorni giunsero sulla Terra creature provenienti da un’altra dimensione dello spazio,
inumane, mostruose, desiderose di cancellare ogni forma di vita dal pianeta”.
(Henry Kuttner, Gli Invasori, 1939, da ‘I Miti di Lovecraft’, Urania Epix)
Insieme al terzo Batman di Nolan, sicuramente uno dei "filmoni" del 2012, oltre che uno dei più attesi ritorni della storia del cinema. Parlo naturalmente di quello di Ridley Scott al timone dell'astronave che nel lontano 1979 impresse una svolta epocale alla fantascienza cinematografica con l'incubo del famigerato mostruoso alieno mutaforma: Alien (film), ça va sans dire, e Nostromo l'astronave nel film di allora: ora si chiama appunto Prometheus, con simbologia mitologica non casuale.
La saga iniziata da Scott vanta, fra i suoi record, quello di aver dato vita a tre sequel tutti firmati da registi di primo piano (Cameron) o quantomeno in procinto di diventarlo (Fincher e Jeunet). Ora, anche quello di ritornare in mano al suo primo creatore, a ben 33 anni di distanza. Solo un (fortissimamente atteso ma sempre parimenti disatteso) sequel di Blade Runner (altro pilastro di Scott nella s/f in pellicola) riuscirebbe a battere questo record di attesa.
Passato il tempo, cambiato del tutto il cast: Noomi Rapace (Uomini che odiano le donne) prende virtualmente il posto della Weaver come virago 'durazza', mentre Michael Fassbender raccoglie il testimone del cyborg reso celebre da Lance Henriksen, ma il cast comprende anche Guy Pearce (il miliardario centenario) e Charlize Theron (la cattivona del team).
A Dan O' Bannon (soggetto e sceneggiatura originari) e a sceneggiatori come il regista Walter Hill (I Guerrieri della Notte), qui presente come produttore, o Joss Whedon (Buffy, Avengers) ora subentra la meno blasonata coppia Jon Spaihts, Damon Lindelof (che viene da Lost), in un compito da titani degno del titolo: non deludere le non meno titaniche attese scatenate da un film del genere.
Infatti proprio sulla sceneggiatura si appuntano le critiche più avverse al film di Ridley Scott: Riccardo Fassone, su Nocturno di agosto, parla di “uno script raffazzonato, citazioni facili …un puzzle mal riuscito”. Anche alcune recensioni internazionali e i pareri raccolti qua e là all’anteprima stampa dicono di una trama pasticciata, che non risolve nessuno degli interrogativi che pone e così via.
Ma veniamo al vero succo della faccenda. Prometheus, narrativamente, è un prequel rispetto agli eventi narrati nel franchise. Sulla trama, qualora già non la conosceste, in rete trovate già molto, quindi vi risparmio il riassuntino. Il punto è che qui scopriamo che i giganti umanoidi trovati fossilizzati nell’astronave-relitto nel primo Alien sono una misteriosa razza proveniente da chissà dove, dal dna simile al nostro. Sono i nostri progenitori, “gli ingegneri” li chiamano gli scienziati Noomi Rapace e marito.
Al sottoscritto hanno richiamato alla memoria i Grandi Antichi di Lovecraft (pensiero improvviso: si intitolano proprio Necronomicon ben due libri delle ‘mostruose’ opere di H.R. Giger, il primo pubblicato nel 1977 (copertina a sinistra), poco prima del primo Alien), anche se nel film viene specificato che non solo questa razza regnava sulla Terra prima di noi, ma che (diversamente dai racconti del Solitario di Providence) ci hanno proprio creati loro in tempi remotissimi, seminando sul pianeta spore vitali attraverso quel che nel prologo parrebbe una sorta di volontario sacrificio. Anche il famigerato mostro mutaforma (l'Alien propriamente detto, quindi - proseguendo nel parallelo lovecraftiano - un po' il 'loro Yog Sothoth'?) è, scopriamo alfine, una creazione di quegli 'ingegneri' dello spazio: “un’arma di distruzione di massa”, sviluppata col preciso piano di cancellarci dal pianeta dopo averci generati. A questo punto la domanda chiave del film diventa: perché ci hanno creati, per poi affannarsi a sterminarci? A questo quesito non ci viene data una risposta univoca, ma non per questo ne farei un limite del film: a parte che aspettarsi da un regista (per quanto ambizioso) la risposta alla domanda ultima sul senso della vita è forse pretendere troppo, a mio parere la risposta viene pure accennata, anche se sottovoce, ed è di un amaro gnosticismo cosmico se la sappiamo cogliere.La dà il robot-Fassbender, l’unico personaggio a non conoscere la vita in quanto tale. Parlando con lo scienziato marito della Rapace Holloway, travagliato dal dilemma, gli chiede: “E voi perché avete creato me?”. La risposta è sgraziata e disperante: “Perché eravamo in grado di farlo”. E quindi perché anche noi, piccoli umani, non potremmo semplicemente essere il giocattolo, l’esperimento biologico di un’altra razza superiore che, stanca del gioco o per paura, capriccio o chissà, ma non necessariamente per un preciso progetto, decide di buttar via il gioco nuovo?
Giocattoli per titani, no? Il senso della vita e la sua differenza dal simulacro meccanico: come vedete, Prometheus non cita solo dall’interno della saga, ma si amplia a toccare temi che spaziano da Odissea Nello Spazio al succitato Blade Runner.
Non pensate però di trovarvi davanti a un palloso saggio filosofico: sono a tutti gli effetti (a parte le musicacce solenni di Marc Streitenfeld) due ore di grande spettacolo, in un 3D eccellente (forse il migliore da Avatar) che non lesinano suspence (nessuno lo dice ma nella grotta l’attesa sale eccome), colpi di scena, sorprese, shock splatter (l’auto-aborto di Noomi), fughe, inseguimenti, combattimenti e scene apocalittiche.
Ok, ci sono anche alcune incongruenze (conoscete un film del fantastico che non ne contiene?), alcuni scivoloni nel mélo (la morte di Holloway, l’ostinata fede cristiana della Rapace e il sacrifico ‘patriottico’ del capitano con l’astronave), ma alla fine Prometheus ci offre tutto quello che ci possiamo aspettare dal “nuovo Alien”; e che infatti troviamo, anche se, a quanto pare, non soddisfa molti.
Tranne la risposta ultima all’angoscioso quesito ontologico: quella sembra rimandata a un possibile ulteriore sequel, il finale ne lascia spazio. Come si diceva anche del Batman citato in apertura. E, come se non più di quello, a dispetto delle critiche rimane un film da vedere per ogni appassionato del temibile alieno che si rispetti. Per ogni appassionato di fantascienza, non solo cinematografica.
Mario G