"Chiunque può essere un eroe"
(Batman/Wayne)
Che Il cavaliere oscuro - Il ritorno (QUi la relativa, ricca voce su Wikipedia e QUI un dietro le quinte del film in inglese) sia uno dei grandi eventi cinematografici di quest’autunno (e dell’annata intera) non c’è da discutere: già campione d’incassi in USA, promette di fare altrettanto da noi nonostante la durata omerica (164’) e le atmosfere cupe e più che mai malinconiche.
Autore di una rilettura molto decisa del personaggio Batman e del suo mondo (Gotham), Christopher Nolan – regista dell’intero franchise, che molti considerano unico nella storia dei cinecomics – ha già animato accesi dibattiti: un’operazione autoriale ambiziosa, antieroica e irta di sottotesti etico filosofici, talvolta molto libera. Fin troppo, secondo una parte di fan dell’eroe-pipistrello, scontenti per i “tradimenti” verso il fumetto.
Comunque, non abbastanza da oscurare l’astro di Nolan, nuovo asso di serie A del firmamento spettacolare hollywoodiano (il film del 2008 ha fruttato un Oscar postumo come miglior attore non protagonista al compianto Heath Ledger per il suo Joker), come già fu per Peter Jackson con la trilogia del Signore degli Anelli.Del dibattito ha già in parte dato conto il mensile Nocturno, che sul numero di luglio ha messo a confronto il parere pro di Alberto Pezzotta con quello contro di Giona A. Nazzaro, , in verità più dei punti di vista sul regista che sul film in sé. E noi? Dal canto nostro, vi segnaliamo a nostra volta una recensione molto documentata (e di segno entusiastico) sul blog Novemillimetri, mentre una dotta non-analisi, lunga poco meno del film ma ricca di nulla (se non della manifesta irrisione da parte dell’autrice del film in quanto fenomeno “commerciale”), ce la offre Natalia Aspesi su Repubblica, preclaro esempio di “spocchia da stampa nazionale”. E noi? Durante la visione, il sottoscritto s’è trovato a pensare con fastidio che in un certo senso la Aspesi avesse un po’ ragione: troppo lungo (come peraltro i suoi predecessori) e complicato nella vicenda da poter essere abbracciato in un’unica occhiata, privo di un personaggio forte come il cattivo di Heath Ledger (il Bane di Tom Hardy, sopra a destra, è piatto e monotono, mentre alla Selina-CatWoman di Anne Hathaway - a sinistra - spettano i duetti brillanti quasi jamesbondiani, un po' fuori luogo nel tragico contesto), l’opus conclusivo di Nolan mi sembrava un po’ il topolino partorito dalla montagna dei suoi 250 milioni di budget produttivo al cospetto dei film precedenti. Ho trovato conferma di questo punto di vista nel parere di un professionista del settore: Gabriele Calarco, scenografo Rai e per passione produttore, sceneggiatore e regista di molti corti, nonché appassionato cultore del mondo connettivista, ritiene che Il cavaliere oscuro - Il ritorno sia un po’ un’occasione mancata, fondamentalmente per tre motivi: una sceneggiatura con diversi buchi e priva di personaggi di rilievo ben approfonditi; la scelta di “smitizzare” il lato fantastico del supereroe, portando il personaggio e il suo mondo troppo verso la realtà contemporanea americana (crisi di borsa, terrorismo internazionale etc); la conseguente scelta stilistica di appiattire la sua ambientazione – cioè Gotham City – sulla New York reale.
Per le generazioni cresciute leggendo la graphic novel, abituate ad immaginare l’universo batmanesco ed in special modo Gotham City in uno stile appunto gothic è faticoso calarsi nel giusto stato d’animo (operazione per altro ben riuscita da Tim Burton nei film precedenti)”, dice Calarco. “Le trame delle avventure di Batman sono incentrate sulla città di Gotham, che ne è protagonista quanto lo stesso Batman: una città ‘viva’, che rigurgita fuori tutte le proprie contraddizioni, generando quasi dal proprio antro mefitico i personaggi più grotteschi, ad iniziare da Joker per finire con l’attuale Bane”.
(nelle immagini qua sopra tre esempi di come viene presentata Gotham City nei fumetti DC di Batman)
Un altro passaggio fondamentale secondo Gabriele sta nel fatto che nella reinvenzione di Nolan dell'universo di questo Batman iperrealistico manchi qualcosa: “il pathos”, lui dice. “Insomma New York è una splendida location ma... ovviamente non è Gotham City, anche se le assomiglia molto. Spesso si usano le location per girare film, ma in questo caso non è mai stato dissimulato il fatto che si tratti proprio di New York; il production designer Nathan Crowley se possibile lo evidenzia ancor più utilizzando location visibilmente riconoscibili come ad esempio Wall Street”.
(nelle immagini qua sopra proposte da Gabriele, potete confrontare un bozzetto e un matte painting per la Gotham del Batman di Tim Burton dell'89 e una foto di Pittsburgh, che Nolan ha usato per alcune riprese on location del suo ultimo film)
Tutto vero: in effetti, nell’ultimo film Gotham ha del tutto perso il suo coté gotico-metropolitano-dark per diventare a tutti gli effetti una NY rinominata, tant’è vero che la prima azione eclatante compiuta da Bane con la sua banda è proprio un attacco a Wall Street, tempio finanziario dell’american way of life (una occupy Wall Street più violenta), mentre la sua minaccia di distruzione della città sa tanto di quel terrorismo internazionale che dal 2001 è forse il principale incubo americano.
“E l'operazione qual è? Batman ha una sua precisa iconografia, da Nolan solo a tratti rispettata e invece spesso brutalmente violata”, mi incalza Gabriele. Qui sta il punto, quindi qui bisogna arrivare: secondo me l’ambientazione prosaicamente realistica (che capisco possa non piacere, anch’io amo l’ambientazione dark di Batman) può essere funzionale e fa parte del più ampio lavoro di de-mitizzazione e umanizzazione operato da Nolan sul (super)eroe, mai come in questo film triste, abbattuto e battuto, rassegnato, che ci guida lungo la propria via crucis verso il finale in cui il suo eroismo si esprime per l’ultima volta al massimo, dell’effetto come della tragedia.
E c’è poco da dire sul melodramma e l’intento di epater dello smuovere memorie dell’11 settembre per gli americani: il finale è effettivamente, inevitabilmente commovente (anche se ancora potenzialmente aperto) e secondo me è una bella zampata d’autore.
Certo, lì Gotham era sempre Gotham – anche se i disegni a colori molto accesi di Miller non spingono sul versante gotico – ma sentite cose scriveva l’autore nell'introduzione: “Feci uso del circostante mondo oppresso dal crimine per descrivere una società bisognosa di un genio ossessivo, erculeo e un po' folle che riportasse l'ordine. ... Passarono 15 anni. ...Avevo già scritto metà de 'Il Cavaliere Oscuro colpisce ancora' quando crollarono le Torri Gemelle e migliaia di cittadini ne furono distrutti. ... Da ciò il brusco mutamento nel tono verso l'apocalittica, potente botta a metà storia. ... Volevo che gli eroi sgargiantemente vestiti e i loro lettori assaggiassero la mostruosa, gessosa polvere che ha riempito i polmoni di ogni singolo Ney Yorkese per mesi”.
Il sottoscritto è un grande fan del Batman iper-gotico ed espressionista di McKean/Morrison (qua sotto una tavola del loro non meno rivoluzionario Arkham Asylum). Ma sa altrettanto che Il Ritorno del Cavaliere Oscuro di Miller (da cui la tavola di Batman a cavallo accanto) è considerata unanimemente una delle storie più importanti diell'eroe pipistrello. Ora, siamo ancora sicuri che l'interpretazione, come dice Gabriele, "iperrealistica" e legata all'attualità di Christopher Nolan rappresenti davvero un "tradimento" del Batman fumetto?
Buona visione, dite la vostra.
Mario G
Nota: Posthuman ringrazia Gabriele Calarco per la disponibilità e la collaborazione, auspicando di riaverlo presto ospite.