Ha fatto incassi super (spesso l’operazione è questa: cinema + supereroi = superincassi), è stato uno dei più attesi blockbaster della stagione e non ha disatteso: Iron Man 2, sempre diretto da Jon Favreau, risulta vincente come il predecessore anche se, rispetto al primo, rimane sotto di un paio di gradini, una breve distanza dal momento che non sto parlando di una rampa di scale. E per favore, non si esclami la solita impersonale tiritera che cantilena in modo noioso e infantile “ma non è come il primo”: magari non è come il primo perché dopo il titolo c’è un numero “due” che, vi assicuro, fa la differenza anche se sembra lì per bellezza; magari non è come il primo perché un sequel non può essere uguale al primo film, è impossibile, sotto tutti i punti di vista, infatti subentrano varianti che vanno calcolate nell’equazione del film, solo la costante è sempre la stessa e in questo caso la costante è il supereroe del titolo: Iron Man. L’equazione comprende invece nuove incognite con nuovi valori: storia, personaggi, e un risultato che cambia sotto i nostri occhi mano a mano che l’equazione viene sviluppata: Tony Stark. E qui veniamo al dunque: se Tony Stark è Iron Man, allora perché Stark è il risultato dell’equazione, mentre Iron Man ne è la costante? La risposta è il nocciolo del film.
Di Tony Stark (Robert Downey Jr.) avevamo solo una vaga idea, nel primo film infatti è la creazione di Iron Man che conta. Qualcosa di chi “indossa” Iron Man ci viene raccontato, ma non abbastanza per vedere tutte le sfaccettature del protagonista, cosa che invece ci mostra questo numero due, che ci mette Tony Stark sotto la luce e lo rigira mostrandone ogni lato: un approfondimento psicologico, dunque, che studia un carattere non tanto gradevole.
Se prima era necessario sapere come un geniale imprenditore straricco diventa un supereroe, ora è il caso di conoscere quanto questo multimilionario sia non solo super, ma anche prepotentemente egocentrico, antipatico, complessato e incapace di autocontrollo sia sul proprio ego che sulla propria intelligenza, che spesso reprime in favore della propria dominante figura. Ci rendiamo conto che la genialità di Tony Stark non è solo accompagnata dalla stranezza ma anche dall’esuberanza e da un carattere difficile, multistrato, spesso incontrollabile; ci rendiamo anche conto di quanto Tony Stark sia nemico di se stesso, non solo fisicamente - vi ricordo che lui vive grazie ad una pila radioattiva inserita nel suo torace - ma anche a livello psicologico. Trovo coraggioso il fatto che un secondo episodio sia incentrato costantemente sul suo protagonista come persona, piuttosto che sulle gesta del suo supereroe, dei sui cattivi e quindi sull’azione.
Ciò non esclude l’azione: c’è, è scenografica, ma manca di veri colpi di scena, è prevedibile e affrettata, basti vedere come finisce il vendicativo Ivan Vanko (Mickey Rourke): viene liquidato con una tale fretta che la mia immediata associazione d’idee è stata con lo shakespeariano titolo “tanto rumore per nulla”. Vanko è un cattivo che risulta ordinario, probabilmente doveva avere maggiore spazio per affinarsi e Mickey Rourke doveva avere più tempo per svilupparlo in maniera coinvolgente.
Trova invece il suo spazio un altro cattivo: Justin Hammer (Sam Rockwell) un imprenditore che non ha il genio di Stark e che, non potendo essere alla sua altezza, trova sfogo nell’invidia e l’invidia si sa…è la causa di quasi tutti i mali. Un fantastico Sam Rockwell dà vita a un personaggio banale, il tipico nerd, impacciato e senza personalità. Rockwell non è mai sopra le righe, tutt’altro, è credibile, traspira invidia da tutti i pori senza eccedere, lasciando invece la follia nelle mani - e nelle elettrizzanti propaggini - di Mickey Rourke.
Il momento più emozionante si svolge senza dubbio al Grand Prix di Montecarlo, poi l’azione rotola come ghiaia da una discesa, non certo come una valanga dalla montagna, scaricando l’incitamento anziché produrlo e lasciando una vaga perplessità nello spettatore, come se mancasse qualcosa. D’altronde, come dicevo, tutto si concentra sulla indisponente personalità di Stark che, attenzione, non è solo alterata dal suo stato fisico - che comincia a vacillare sotto il peso di una pila tossica -, ma è propria del personaggio.
Nell’equazione del film, quindi, trama e dialoghi si pongono in relazione per dare come risultato Tony Stark in tutta la sua poco simpatica realtà, e solo RDJ poteva interpretarlo con tanta perfezione, chi conosce l’attore sa perché.
Tutto questo approfondimento psicologico ha anche il pregio di esaltare l’importanza dei personaggi che affiancano Stark, amici capaci di livellare la sua mancanza di equilibrio interiore. A Pepper (Gwyneth Paltrow) e Rhodey (Don Cheadle) si aggiunge Natasha Romanoff, una Scarlett Johansson troppo delicata per un film d’azione: la mancanza di grinta non le dà credibilità nei panni della Vedova Nera (foto a destra).
C’è poi un altro personaggio importante, lo abbiamo visto poco nel primo film, lo vediamo poco di più in questo ma è fondamentale per quello che sarà il dopo, il personaggio è Nick Fury (Samuel L. Jackson).
Nick che appare spesso, Rhodey che si affianca ad Iron Man trasformandosi in un super soldato, la Vedova Nera che entra nello staff di Stark, Stark che alla fine del film “L’incredibile Hulk” (2008) incontra Bruce Banner (Edward Norton)… c’è aria di Vendicatori e questo Iron Man 2 ci preannuncia il loro arrivo.
Un Iron Man 2 che non manca di spettacolarità: decisamente meno elegante del primo, propone comunque i suoi momenti esplosivi anche se non tonanti… be’, a dirla tutta… il tuono c’è… se lo volete sentire - e vedere - rimanete fino alla fine dei titoli di coda. P.S.: Ferro da ascoltare:
Iron Man 2 è un inno al rock, a cominciare dal pezzo principale “Shoot To Thrill” degli AC/DC, dei quali sentiamo anche “Highway to Hell” (il soundtrack album è praticamente un loro best of), passando anche per i Clash di Joe Strummer, per finire con i Queen. Una colonna sonora metallica quanto il nostro Iron Man.
Debby M