Drive, il primo film del danese che finalmente esce anche nelle sale italiane, è un'ottima occasione per fare il punto su quello che si è ormai affermato come uno dei registi europei più interessanti in circolazione (personalmente, lo considero il principale pretendente al trono che finora riservavo a un Lars Von Trier).
La trilogia di Pusher, ormai,si trova tutta in dvd (Bo Casper, Prima Distribuzione e One Movie): mea culpa, ho visto solo il secondo film che è un buon noir urbano, valida premessa per il film di cui parliamo qui, ma sinceramente non divide la storia in due.
Ben altra folgorazione riserva Valhalla Rising, visto al Science+Fiction del 2009 (e oggi disponibile in dvd 01 con sottotitoli italiani dei pochissimi dialoghi): praticamente l'Aguirre del 2000, sontuosissimi quadri di cupi scenari naturali, violenza primordiale e silenzio di tragedia greca per una vicenda in cui simbolo e misticismo laico presiedono alla drammaturgia.
E' da lì che son partito a cercarmi il precedente Bronson (oggi c'è in dvd italiano distribuito Fox, a destra la fascetta), del 2008: vita del detenuto più famigerato e temuto d'Inghilterra (da cui gli sbrigativi paragoni con Arancia Meccanica), una specie di Edward Bunker d'Albione, resa però astratta e teatrale come una performance di video art. La violenza di un uomo che rifiuta la legge ad un livello quasi di dna e che fa a pugni per tutta la vita con il mondo, nel chiuso di una gabbia... quasi come se in fondo combattesse con se stesso.La conferma di un autore geniale e spontanea la domanda: ma come fa questo qui a realizzare (e senza disporre di mezzi enormi) film così compiuti, incredibilmente innovativi sul piano formale e girati sempre da dio? A questo punto era inevitabile scovare anche Fear X, prima incursione di Refn in terra americana (è del 2003): pare, un flop di mercato (come stupirsene?!), ma in realtà un altro grandissimo - benché sempre diversissimo - film dai silenzi pesanti come macigni.
Se i delinquenti di Pusher possono ricordare alla lontana l'umanità deragliata di Trainspotting, il Turturro guardia di supermercato ossessionato dall'omicidio casuale della moglie, che si perde in ore e ore di videocassette di sicurezza in cui cercare impossibili indizi per scoprire i colpevoli (e, alla fine, una ratio in un male incomprensibile) rimanda più al "giallo filosofico" dell'Antonioni di Blow Up.
Anche di Fear X è stato distribuito un dvd italiano (ancora 01, fascetta a sinistra): se lo trovate non fatevelo scappare, non vi pentirete della spesa.
E ora ritorniamo a Drive, film tratto (con qualche riduzione sui piani temporali) dall'omonimo romanzo di James Sallis (edito per l'Italia da Giano) e sceneggiato per il regista da Hossein Amini (intervistato con il regista su Nocturno di settembre): si ritorna nel genere noir urbano da cui Refn era partito, si torna in terra (e produzione) americana, che mette a disposizione del regista un protagonista perfetto, il glaciale Ryan Gosling (nella locandina in apertura e sotto a sinistra), bello, a modo e inquietantemente impassibile; accanto a lui la dolce Carey Mulligan (qui a destra), giovane mamma/moglie di un pregiudicato perseguitato dalla mala (uno dei due grotteschi e spietati padrini è interpretato con gigionismo sornione da Ron Perlman, attore-feticcio di Del Toro e storico 'Salvatore' nel Nome della Rosa).
Il trailer inganna tutti promettendo un action spericolato di inseguimenti e corse in auto (infatti in sala abbondano i 16enni ridanciani): niente di più sbagliato. Refn è sempre lui, e ci inchioda alla poltroncina con una vicenda dalle movenze lente e dai dialoghi ridotti al monosillabo quotidiano ("Ti posso offrire un bicchier d'acqua?"...... 30 secondi di silenzio e poi.... "Sì". Neanche Sergio Leone!).
Come ci inchioda? Con il meccanismo di una moderna tragedia: capiamo subito che quei personaggi così quotidiani e soli sono diretti a capofitto in guai che non potranno che infittirsi a spirale. Quindi le stasi e i silenzi ci generano la suspence, non nel senso di dubbio su cosa accadrà, bensì di attesa spasmodica di quel che sappiamo si sta addensando come una nube nera e ci opprime con un senso di minaccia.Cioè la violenza. Se l'ambientazione del film può ricordare l'epopea dell'antieroe urbano del capolavoro Taxi Driver (qui siamo in una desolata e notturna Los Angeles), e il mood silenzioso e rattenuto - nei gesti come nelle parole e in ogni manifestazione emotiva - Le Conseguenze dell'Amore di Sorrentino, la violenza quando esplode colpisce duro.
Anche quando non è estrema, addirittura eccessiva (come nella scena dell'ascensore, ispirata - dice il regista su Nocturno - a quella di Irréversibile di Gaspar Noé), sul filo di un grottesco che rischierebbe di stemperarla... quando t'arriva, al termine di quei silenzi opprimenti, è un pugno allo stomaco anche se viene tenuta fuori campo (il che non sempre accade: un paio di scene sono toste). E qui il riferimento primo che mi viene alla mente è l'immortale Old Boy. Ma sicuramente l'ironia in Refn è molto più sotto traccia che in Park Wok Chan.
E quando la resa dei conti finisce, lasciandoci di fronte a un finale aperto, usciamo dalla sala in punta di piedi. Per paura di guastare quel silenzio col rumore delle scarpe. Che poi tocchi pure a noi.
Grande Refn, daccene ancora.
Mario G