Ci sono film che creano un immaginario: gli effetti inventati per Matrix segnarono uno spartiacque per il cinema d’azione venuto dopo e i trench neri ce li ritroviamo fino ad Underworld. Altri magari no, ma si possono definire col motto americano “larger than life”. Ecco, Cloud Atlas (locandina italiana in apertura, un poster internazionale sotto a destra) non darà vita a un mondo immaginifico inedito ma è certamente uno di questi ultimi.
Film indipendente fra i più costosi della storia, pare sui 102 milioni di dollari forniti da produttori tedeschi senza interventi di major hollywoodiane, l’opus magnum diretto dai Watchowsky Bros. con Tom Tykwer (regista di Lola Corre e Il Profumo) snoda per quasi tre ora una trama articolata in sei segmenti diversi. Impossibile da riassumere, può essere utile affrontarla con l’aiuto del bignami offerto da Wikipedia (anche se scritto un po' sommariamente).Tratto dal romanzo L’Atlante delle Nuvole di David Mitchell (Frassinelli), su cui vi riporto QUI l’efficace recensione di Mangialibri, il film è sceneggiato dagli stessi registi, mentre Panorama ci informa che è stato lo scrittore a suggerire il passaggio dalla matematica struttura del libro (in cui i segmenti procedono con ordine 1-2-3-4-5-6-5-4-3-2-1) a quella “a mosaico” del film, in cui essi procedono parallelamente, spesso scivolando l’uno nell’altro, e noi spettatori veniamo continuamente rimbalzati fra gli avvenimenti ambientati nel 1849, quelli del 1936, del ’73, del 2012, quelli nel futuro prossimo (2144) e in quello remoto (2321).
Una scelta, quella di considerare i ruoli come “ceppi genetici” che si possono sviluppare in diverse direzioni, sia maschili che femminili, che sicuramente risente anche del cambiamento di sesso attraversato da Larry/Lana Watchowsky fra Matrix Reloaded e Cloud Atlas: uno/a che di certo non ha esitato ad esplorare le più distanti possibilità dell’essere! Ultima precisazione strutturale: non ho letto il libro di Mitchell quindi non so dire se la brillante definizione di “ibrido mutante tra La macchina del tempo di H.G. Wells e Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino” gli calzi, ma va detto che per il film non è del tutto corretta. Una struttura complessa può essere anche un elemento predominante dell’opera, ma ciò non la trasforma automaticamente in metanarrativa. Infatti, l’intricata struttura di Cloud Atlas non rimanda a una riflessione sui meccanismi del narrare (letterario o filmico), ma a un preciso discorso filosofico scientifico sul mondo e l’umanità, peraltro chiaramente esposto (e ripetuto) dal personaggio Somni-451 (foto a sinistra e raggomitolata in cella sotto a destra): “La nostra vita non ci appartiene. Dal grembo materno alla tomba, siamo legati agli altri. Passati e presenti. E da ogni crimine, e da ogni gentilezza, generiamo il nostro futuro”. Come anche, si capisce, da ogni incontro, connessione o accadimento che si verifica nel corso del nostro transito terreno. Ritornano le implicazioni della fisica quantistica, vera protagonista del fantastico contemporaneo (Strade Perdute, Mulholland Drive, Inception, Holy Motors…) in un concetto ben preciso: la vita non è un fatto individuale ma relazionale. In pratica, tutto è connesso con tutto (di qui il sottotitolo del film) e ogni battito d’ali di farfalla nel sistema genera le sue conseguenze nel tempo e nello spazio. E questa non è metanarrativa.
Certo, si potrà dire che le sei storie, esposte in forma lineare, sarebbero state meno interessanti che non così intrecciate (ma l’obiezione varrebbe anche per Pulp Fiction, per esempio); oppure, che la filosofia sciorinata indulge qua e là a qualche ampollosità new age (“l’amore sconfigge la morte”), ma un film non è un trattato di filosofia e comunque la stessa obiezione non ha impedito a Matrix di essere uno dei fenomeni filmici a cavallo del 2000.
Cloud Atlas, fra i temi di spessore, rispetto a Matrix allarga i conflitti del singolo contro il potere e le sue diverse forme di oppressione messi in scena: razziale, omofoba, corporativa, totalitaria, eugenetica, al dunque ogni protagonista si schiererà in difesa della libertà e dell’autodeterminazione, se serve fino al sacrificio finale.
Ma ora proviamo a rispondere alla domanda rimasta sospesa all’inizio (come nella struttura del film): perché i Watchowsky non son riusciti a creare anche ora un immaginario distintivo e originale, come riuscì loro nel capolavoro del ’99?
Budget insufficiente per le sovrumane ambizioni del plot? Forse la risposta è ancora connessa alla struttura: sei storie in tre ore significa circa mezz’ora a storia; nel tempo di un medio metraggio ogni ambientazione dev’essere immediatamente riconoscibile e caratterizzata.
Forse è per quello che, riferendoci in particolare ai segmenti fantascientifici della trama, il futuro del 2144 appare un po’ un videogame costruito con troppa CGI e quello neo primitivo del 2321 ricalca i cliché post apocalittici alla Mad Max coi selvaggi cattivi pittati.
Vedetelo senza esitazione. A mente connessa.
Mario