Atsushi Tani è un artista giapponese che realizza immagini di erotismo visionario, che parte dalla tradizione surrealista di Hans Bellmer e Pierre Molinier per sconfinare nelle più moderne tendenze dell’erotismo nipponico: feticismi medical, manipolazioni corporee, body art estrema, cybersex e sensuali androidi generati da universi paralleli e via delirando.
Il "bestiario" erotico di Atsushi Tani è senz’altro fra i più ricchi, originali e trasgressivi dell’odierno panorama dell’arte contemporanea: a me personalmente fa pensare a una versione cyberpunk dell’immaginario allucinato di un Joel Peter Witkin proiettato nel futuro anziché verso il manierismo secentesco. Lo spiccato senso estetico e il gusto per una composizione quasi classica dell'immagine fotografica lo accomunano ad alcuni notevoli talenti della fotografia contemporanea, come Gilles Berquet ma anche al gusto un po’ morboso di uno Jan Saudek postmoderno.
Tani si dedica alla fotografia dall’età di 17 anni, la sua prima mostra risale al 1991. Da allora sono numerose le sue esposizioni personali, non solo in Giappone, ma anche in Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti. Il suo ultimo libro "The Doll Bride of Frankenstein" è uscito l’anno scorso in Giappone per la casa editrice di culto Treville (http://www.editions-treville.com/).
L’ho scritto più volte parlando di cinema, anche beccandomi l’ironia di chi mi accusa di vedere ormai solo “con gli occhi a mandorla”. Invece, sempre convinto di vedere “con gli occhi di domani”, io ribadisco che il cyberpunk e le sue contaminazioni biocibernetiche, dai Tetsuo di Tsukamoto in giù, stanno dando frutti più nella cultura giapponese che in quella americana-occidentale, che ne è la matrice originaria.
Basta guardare film underground come Rubber’s Lover di Shozin Fukui, o il geniale cartone animato Ghost In The Shell 2, o un delirio come Meatball Machine (che attendiamo di vedere a breve in dvd e di cui vi diremo).
Perché, vi chiederete? Semplicemente perché – dei due elementi costituenti la natura del cyberpunk e delle sue evoluzioni, cioè carne e metallo – l’ondata di neopuritanesimo che affligge gli USA dagli anni ’80 in poi ne ha eliminato uno: la carne. Avete notato che, ad esempio, in un film horror (market target = ragazzini dementi, per le major USA) si possono squartare decine di personaggi ma non si vede più un capezzolo? E meno che meno in un film di fantascienza. Perché? Ma chiaro: s/f = alto budget per effetti speciali sbalorditivi (per le stesse major); ciò implica alti incassi, se no son guai. Una tetta = rating R (restricted = adolescenti accompagnati da genitori) = ridotti incassi al botteghino, magari qualche catena per policy rifiuta pure la distribuzione del titolo “impuro” per paura degli attacchi di qualche movimento ultrareligioso. In definitiva…
ð la s/f dev’essere assolutamente asessuata, se no che futuro è?
Ok, Cronemberg e Lynch riescono a dipingerci scenari inquietanti, non privi di sentore di carne, anche rinunciando ad ambientazioni nel fantastico propriamente detto, ma dobbiamo affidarci solo a questi Maestri ormai maturi (e isolati, almeno Lynch)?
Ora, la fotografia e l’arte contemporanea, non essendo forme di comunicazione di massa ma per misere nicchie d’intellettuali gemebondi, soffrono ovviamente di censure meno rigorose: Matthew Barney può mostrare il suo Cremaster (il ciclo di art movie prende nome dal muscolo che regge lo scroto!) nelle mostre di tutto il mondo, idem dicasi per i cavalli sezionati di Hirst, per le bambole sessuate di un’altra fotografa come Cindy Sherman (che a ben pensarci potrebbe essere un altro referente per Tani, più diretto di Witkin o Saudek); o anche per le creature deformi di Floria Sigismondi, o per la body art di quei matti che s’appendono sanguinanti ai ganci da macelleria fino a svenimento, tanto mica li guarda la gente normale, quella che va al cine e guarda la tv, ma solo i loro amici pervertiti, no?
Fortunatamente, nel Sol Levante esiste ancora un fertile humus underground in grado di mescolare le carte di arti visive contemporanee, manga, cinema e quant’altro, per cui di lì possiamo ancora attenderci quelle provocazioni che dalle nostre parti sembrano confinate al libro dei mémoires degli anni ’70, no?
OK, scippata l’occasione dell’esposizione di Tani per stilare il manifesto della “fantascienza sessuata”, consiglio ai postumani che transitano da Roma di buttare un occhio alla mostra: io chiudo qui il lungo excursus cinefiliaco dicendo che le foto di Atsushi Tani secondo me sono lì acquattate, pronte a nutrire gli incubi visivi di un Tarsen di domani (chi ricorda il suo The Cell, con tutte le sue citazioni proprio da tutti gli artisti summenzionati nelle visioni del serial killer?) o i video clip del successore dell’ormai “normalizzato” Marilyn Manson.
Oppure… l’auspicato film s/f-horror che non abbia paura di osare!
Hey, ma non dimentichiamo anche il fotografo italiano Roberto Vignoli, che è esposto contemporaneamente a Tani alla Mondo Bizzarro. Anche se le sue immagini risultano al mio occhio un po’ patinatine, meno inquietanti, insomma io le trovo un pochino più modaiole quindi meno interessanti di quelle dell’artista nipponico.
Voi fatevi la vostra impressione e… “happy nightmare, baby”!
Mario
P.S.: trovate qui un interessante articolo su arte contemporanea, ridefinizione del corpo e identità mutanti, con rimandi anche al postumano e alla s/f (Blade Runner e “nuova carne” cronemberghiana).