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Signore e signori, Cronenberg è rinato "in nuova carne": oggi si chiama Vincenzo Natali.
Consegnamo questo impegnativo messaggio specialmente ai fan del maestro canadese delusi dalla sua "svolta gialla", che gli rimproverano d'aver abbandonato negli ultimi film i liquami organici e le mutazioni corporee. Qualcuno ci criticherà per 'lesa maestà', ma bisogna pur prendere delle posizioni nella vita, no?
Con Splice (poster in apertura, distribuzione italiana Videa), il regista del geniale Cubo - canadese pure lui - si candida all'impegnativo ruolo di successore del grande connazionale, proprio nel suo antico campo d'elezione: la genesi dei mostri partoriti dalla nostra gaia scienza nel pesante sonno della ragione, o quantomeno di un'etica che guidi cosa possiamo o meno fare con le nostre smisurate potenzialità tecnologiche (e non meno estesi appetiti mercantili).
Vincenzo Natali ha concepito il progetto Splice, pare, una decina d'anni fa, subito dopo il successo del Cubo (dai cui seguiti s'è tenuto saggiamente a distanza) e prima dei suoi successivi film, l'imperfetto ma intensamente espressionista e kafkiano Cypher (uscito di sfuggita da noi, nel link trovate riferimento al dvd Medusa, QUI un clip video) e l'ancor meno noto Nothing (QUI il trailer internazionale, dubitiamo si trovi in italiano), così delineando un fiero percorso autoriale nel segno di una fantascienza dell'inquietudine più che dell'effetto speciale.
Ora, raccolti 27 milioni di dollari di budget (quasi 10 volte il costo del Cubo!), quando le evoluzioni della biogenetica rendono l'esperimento dei due scienziati protagonisti assai meno "fantastico" di quando lui lo immaginò (per questo dice d'aver cercato di mostrare nel film dei laboratori realisti e quotidiani piuttosto che futuribili), Natali dà vita a una creatura del fantastico che secondo noi segna il nuovo gradino evolutivo del genere, dall'era di Alien (di cui i vari La Cosa, Predator etc sono solo dei cloni), dichiaratamente un mito anche per lui.
Trama semplice e lineare - un possibile aggiornamento di Rabid (1977) o de La Mosca (1986) - che gioca le sue carte migliori proprio nel mostrarci in primo piano ciò che Alien celava fino agli ultimi minuti: la creatura stessa, dal parto artificiale alla sua (rapidissima) maturazione verso una bizzara sorta di grosso roditore (foto a sinistra e sotto a destra), una quasi-bambina dalla testa deforme, fino all'adulta compiuta dal tronco femmineo (e assai sexy), zampe da volatile, coda venefica e ali retrattili.
E' qui che si gioca la sua fibra più cronemberghiana, fra successive mutazioni, vermoni vagamente falliformi, pseudopolpi schifosi e gusci di pelle svuotati, insieme al prometeico conflitto etico centrale: abbiamo il diritto di fare quel che facciamo, anche in nome della scienza e della possibile cura delle malattie gentiche dell'umanità, o il nostro bisturi è più crudele degli artigli generati in provetta?
Tema non nuovo e già ampiamente esplorato, direte voi. Vero, ma Natali ha osato: in un mondo in cui ci sembra sempre più spesso d'aver ormai già visto tutto, lui è riuscito - oltre che a creare un 'monstrum' originale, dicevamo - a dar vita ad alcune scene che crediamo resteranno nella memoria del cinema di s/f a lungo.
No, qui la faccenda è diversa: Brody/Clive sa a che creatura ha dato vita insieme a sua moglie, sa che lei ha usato il proprio DNA in laboratorio, quindi "sente odore di casa" in quell'ibrido genetico impaurito e desiderante. Il desiderio che anche lui sente - e a cui decide di cedere - per questo è più morboso e sottilmente incestuoso di quanto (a mia memoria) sia apparso sugli schermi finora.
Lo dimostra il fatto che - quando la scena viene interrotta dall'irruzione nel fienile della moglie - (fine spoiler), il parterre giornalistico dell'anteprima scoppia a ridere e a commentare goliardicamente, come se stesse vedendo una commedia con Alberto Sordi: tipica reazione inconscia di chi non sa come digerire qualcosa di realmente nuovo e inatteso.
Dren/Delphine, bella e desiderabile quanto aliena e animalesca, è la nuova frontiera con cui dobbiamo confrontarci: il mostro non è più un sauro ripugnante proveniente dallo spazio, ma ha gli occhi dolci della nostra specie, è figlio nostro. Se uccide, anche le nostre mani sono macchiate di sangue.
La sua presenza in scena praticamente perenne, dal 20° minuto alla fine come ricorda il regista, ha assorbito gran parte del budget produttivo in un (veramente) superbo mix di make up, effetti prostetici e animazioni digitali per rendere la creatura viva, credibile, realistica nella sua pazzesca natura, e persino empatica, elemento necessario al climax emotivo della trama. Natali ha vinto la sua difficile scommessa.
E' vero, non tutto funziona a perfezione nel film: i due ricercatori forse risultano fin troppo "cool" sempre abbigliati da giovani alternativi, qualche dialogo è un po' banalotto, "hollywoodiano" (perché due scienziati a confronto con l'inconcepibile devono ribadirsi ogni 3 minuti "tranquilla, andrà tutto bene"?!) e nella seconda parte del film si rimpiange che il regista non abbia dato alla sua mise en scéne quell'inquietudine ambientale tipicamente cronenberghiana, che sa esser minacciosa in ogni situazione; o che il produttore Guillermo Del Toro (Il Labirinto del Fauno) non abbia instillato un po' del proprio onirismo da incubo.
Ma son peccati veniali, se pensate che Natali ci risparmia l'odioso lieto fine in cui va tutto a posto (anzi, ci sarebbe spazio aperto anche per un sequel, se lo conduce lui ancora in maniera sufficientemente ibrida).
Cercatelo, Splice, anche se uscirà quando sarete in spiaggia (dal 13 agosto, che follia!). E... attenti a ridere troppo: c'è caso che fra 20 anni ci si ritrovi qui a chiederci quando arriverà una nuova creatura inquietante a liberarci del ricordo di Dren...
Mario G