Diciamo che la struttura filmica di Lynch si libera della minaccia della narrazione, approda ad una teoria del cinema dove il linguaggio dell'immagine ha un suo statuto autonomo. L'immagine non è letteratura filmata o come dicono gli americani "una buona storia" ma è linguaggio a sè.
Questo "impero" è un paese astratto e puro che colleziona tutti i temi cari alla filmografia Lynchana. Ci sono le donne, le sue donne, attrici ingenue o sull'orlo di una crisi di nervi o intrappolate in un film maledetto. Ci sono attori che sono pure maschere. E questa volta, per la prima volta c'è anche lo spettatore. La relazione tra le scene è astratta e fluttua visivamente in dissolvenze che legano una serie di stanze, di "stage", di palchi concomitanti. C'è il set del film maledetto, il set dei personaggi coniglio, il set delle vite parallele. Quest'ultimo è il luogo in cui il fantasma del personaggio si incarna in storie che si ripetono identiche a se stesse. Quasi un ghost della sceneggiatura (l'anima) che si incarna e si moltiplica.
Il film di Lynch è un film sul tempo. La narrazione lineare è vittima del tempo, allora Lynch elimina il passato ed il futuro, mettendo in una specie di circolo pezzi di presente in modo che generi continui paradossi. Se l'attore A è entrato nella stanza rossa nel tempo t1 non può tornare indietro in un tempo antecedente t0 nel successivo istante, come se t1 fosse già successo. Ed invece lo fa. Dunque il nodo temporale si compie, la linearità è sconfitta "l'impero dell'immagine" comincia.
Come sappiamo che si tratta di un film sul cinema? Di cinema nel cinema?
Beh innanzitutto già dal titolo, Lynch presenta un foro, quello della lente con cui proiettare il film, un foro da cui sgorga la luce che dà "dimensione", esistenza al titolo.
E siamo solo nei primi istanti. Poi però il tema è ripreso. E' la luce, l'anima dell'immagine e del cinema a creare cortocircuiti attraverso lampade, lampi, trasparenze, riflessi, spot di scena.
E nel dirlo riemergevano sulla mia retina immagini di lei, in dissolvenza.
Non solo, per svelare l'inganno il regista invita sia l'attore ad abbandonare la maschera che il personaggio fantasma a guardare l'attore, e quindi si inseguono e si guardano attraverso un vetro, oppure tramite il suo coro (le prostitute) invita a guardare attraverso il foro, bucando con la sigaretta la seta. Ecco il velo del linguaggio, la finzione del cinema svelata, la maschera che guarda dietro se stessa.
Ma è un film dove l'attrice giunge insieme al suo fantasma nella sala del proiezionista, dove prende coscienza di cosa genera l'incubo, il mistero, la trasformazione.
Possibile che non ci sia una storia?
Beh in tre ore di film di frammenti ce ne sono parecchi.
E guarda caso ci sono tutti gli ingredienti del cinema di Lynch miscelati: c'è il tradimento, lo sfruttamento, il farsi di un film nel film, l'omicidio, il killer, le prostitute.
Verrebbe da dire: il cinema racconta sempre la stessa storia. O meglio le stesse storie di Lynch.
Ma che storie raccontano? Essendo frammenti di presente, di storie staccate dal loro flusso si possono comunque indicare, ovviamente ricostruendole, come si farebbe in un sogno.
Quello che posso fare è passare dall'evento-sogno "la visione del film di Lynch" all'evento racconto, cioè "i frammenti di storie che io racconto" e linearizzo al risveglio (alla fine della visione del film).
Dunque è la storia di un regista che con un paio di attori in gamba, si accinge alle riprese di un bellissimo script. Una storia basata su un matrimonio, un tradimento, la prostituzione e la morte del personaggio femminile principale. Il primo giorno di riprese però il regista rivela una notizia scomoda, il film è un remake, ma non di un film di successo ma di un film maledetto che non è mai stato completato, pare fosse una legenda cecoslovacca.
Gli attori non si perdono d'animo, ma subito affiorano oscure presenze (il fantasma stesso del personaggio?).
Questa potrebbe essere la storia principale, l'ingresso. Poi ci sono altre stanze.
In una tre attori un uomo e due donne con maschere da coniglio, siedono in salotto. Presumibilmente, lui, lei, l'amante. Ripetono frasi inceppate dei loro ruoli.
In un'altra stanza una donna dell'est, presumibilmente negli anni '30 si prostituisce e subisce le ire del marito che impazzito di gelosia commette un crimine orrendo.
Infine il film nel film dichiarato, dove l'amante del marito viene pugnalata dalla moglie gelosa.
Però tutto questo non accade linearmente e quando i pezzi vengono messi insieme, qualcosa varia di continuo, un volto che non dovrebbe essere là, un attore che è in scena e fuoriscena nello stesso momento o dentro scene diverse ma la storia non è la sua.
Dunque il film parla di cinema, tempo, luce, maschere, attori, personaggi e spettatori.
Come vedete un bel saggio di filosofia del cinema.
E che fa lo spettatore?
Beh sta a guardare per tutto il tempo piangendo, sul riflesso del "rumore" di una tv (la neve del video, il film infatti è in digitale) quasi immagina tutte le storie, come noi seduti in sala e quando arriva la fine, bacia il personaggio/attore senza maschera per consolarlo e corre in scena ad abbracciare tutti.
Strano no? L'unico davvero dentro la scena è lui, non i personaggi.
Beh il saggio di Lynch finisce qui.
Ho fiducia che così come Andrej Tarkovskij riuscì con la sua opera "lo specchio" a trovare il suo pubblico anche Lynch, pur sedando qualche spettatore in sala potrà farsi strada.
Buone riflessioni e buone visioni, ma attenti con D. Lynch la maggiorparte di esse sono incubiche.