Si narra che nel tardo 1600, molto tempo prima dell’invenzione della fotografia, uno scienziato di nome Fumagalli, ossessionato dall’idea di riprodurre le immagini, nel corso dei suoi esperimenti scoprì una misteriosa tecnica prefotografica detta “thanatografia”: uccidendo una persona, e rimuovendo subito dopo i suoi bulbi oculari, era possibile riprodurre su un supporto sensibile l’ultima immagine fissata sulla retina della sfortunata vittima. Le sue sperimentazioni diedero il via a molti efferati crimini ma, una volta scoperto, Fumagalli venne condannato a morte e giustiziato. Ma oggi, quello stesso raccapricciante rituale, coi suoi crimini, sembrano ripetersi tra le mura della Scuola Internazionale di Cinema Murnau (notate il nome! E... l'immagine qui a destra del povero protagonista).
Inizia così la sinossi della trama di Imago Mortis, nelle sale dal 16 gennaio, ripresa dal press kit. Quel che se ne dipana è un classico incubo "gotico mediterraneo" (se mi passate l'apparente contraddizione in termini), sospeso in un indefinibile limbo spazio temporale, che potrebbe accadere oggi in Piemonte (dove il film è stato girato, in un antico ospedale abbandonato) o - che so - negli anni '70 in Spagna (coproduttrice dell'opera, da cui proviene l'attore/personaggio protagonista), tanto sono stati banditi dalle scenografie tutti i riferimenti al presente (abiti troppo trendy, computer, cellulari, video/fotocamere digitali).
All'improvviso, mentre al povero Bruno/Alberto Amarilla compaiono i fantasmi di ragazzi malamente uccisi in passato (foto a sinistra), davanti ai nostri occhi riprendono a ballare quelli (mai sopiti) dei Mario Bava, dei Dario Argento d'antan (la persistenza retinica è un'idea di 4 Mosche di Velluto Grigio)... ma allora non eravamo un manipolo di tarantiniani esaltati, noi, quelli di Nocturno, di Splattercontainer, i frequentatori di Bloodbuster o del forum di Thrauma, che continuavamo a lagnarci della fine del genere horror (e thriller, e fantascienza e... e...) nel cinema italiano, quando ormai tutto il mondo era allagato da un'onda di sangue e spaventi, dal new japan horror alle ardite produzioni francesi, ai remake/sequel hollywoodiani!
Ok, non lasciamoci trascinare dall'emozione e andiamo con ordine, perché il film, coproduzione italo-ispano-irlandese, come si diceva, oltre a un nugolo di omaggi ai Classici del cinema (Murnau, ma anche Caligari, Ozu...), allinea una ricca messe di spunti di varia provenienza, in particolare dal recente thriller-horror iberico.
Infatti, il coté metacinematografico della trama (i ragazzi sono aspiranti registi, in una scuola di cinema, i killer sono 'ladri d'immagini'...) può far pensare al fulminante debutto di Amenabar (Tesis), mentre l'ambientazione nell'antiquata scuola al suo The Others, o anche alla Spina del Diavolo di Guillermo Del Toro (il collegio di ragazzini, le apparizioni di persone morte) e al recente El Orfanato di Juan Antonio Bayona (The Orphanage, prodotto proprio da Del Toro). Infine, aggiungerei io, l'ambientazione boschiva della scuola non è aliena da un aroma di 'gotico padano' alla Pupi Avati (con cui il regista Bessoni si è fatto le ossa, guarda un po').
Insomma, un film di citazioni? Non solo, senza essere rivoluzionaria, l'idea degli assassini-ladri d'immagini 'terminali' è un bello spunto, che ci riporta idealmente alle origini del cinema (l'occhio tagliato del Chien Andalou di Bunuel): il regista come killer, vite spezzate in nome d'immagini immortali... un bel discorso metacinematografico che, se non del tutto nuovo, è sempre stuzzicante nelle sue infinite declinazioni, da L'Occhio che uccide (Peeping Tom) di Michael Powella Cigarette Burns di Carpenter.
Peccato che, invece di chiudersi surrealisticamente sul gorgo di occhi reciprocamente riflessi dell'esperimento finale, Bessoni abbia appiccicato al suo film una chiusa beatamente lieta e sdolcinata che stride col clima plumbeo che aveva saputo evocare sino al momento prima.
Un finale tanto sciocchino che non ci si crede. Per questo scegliamo di adottare l'interpretazione di Crixi L, che vede il finale coerente con la globale bolla di sospensione spaziotemporale in cui galleggia l'intera storia di Imago Mortis: non ci troviamo nella nostra realtà quotidiana, chiaramente, quindi perché una vicenda così dovrebbe chiudersi con la prosaica polizia che irrompe a castigare i cattivi, o coi buoni in fuga nei corridoi? Di fiaba trattasi, per quanto nera, e come una fiaba si conclude.
Ciò detto, ci rimane comunque il piacere di festeggiare un film di genere italiano finalmente ben girato pur senza esser miliardario, con tutti gli elementi al loro posto: la bella fotografia ombrosa e marroncina di Arnaldo Catinari, coerenti scenografie d'atmosfera rétro e seducenti quadri secenteschi per evocare lo studio del temibile alchimista Fumagalli. Roba che, paragonata alla sciatteria di una Terza Madre di Argento, vien da gettarsi in ginocchio e recitar le devozioni!
Un film capace di perseguire una classica trama a suspence (stanze buie, scricchiolii, apparizioni: tutto l'armamentario del gotico insomma), con molto meno splatter di quanto temano diverse persone con cui abbiamo avuto modo di parlarne, che avevano solo visto il trailer. La precisazione era dovuta, in modo che ciascuno sappia a cosa va incontro e se troverà ciò che si aspetta.
Dicono che una rondine non fa primavera, ma apprendiamo in questi giorni che sono in fase di postproduzione avanzata nuove coproduzioni nostrane: l'horror zombesco Zone of the Dead, diretto dal serbo Milan Todorovic, e Sinner, firmato dall'italialnissimo Alessandro Perrella (QUI una sua intervista)e interpretato da Robert Englund (il Freddy Kruger della serie Nightmare).
Due primizie su cui vi promettiamo di tornare appena possibile con maggiori dettagli e probabilmente con qualche approfondimento sulla 'lanterna magica' degli effetti digitali.
Forse per l'horror nazionale il disgelo non è più una chimera...
Mario G