Non vi tedieremo a lungo con la trama, che peraltro trovate già riassunta ovunque: parte dall’inspiegabile rivolta di ginoidi (robot per il sesso), che uccidono il proprietario e poi si “autoterminano”. Da qui muove l’indagine poliziesca del cyberdetective Batou (già nel primo episodio), con un nuovo partner (e il fantasma del Ghost 1), attraverso i bassifondi della Yakuza e nei misteri politico industriali che muovono il turpe complotto digitale. Come in ogni storia degna dell’etichetta cyberpunk, ovviamente lo sviluppo e i toni seguono i canoni del noir immerso in ambientazione futuribile (strepitosa).
All’alba del 2004 (effettivo anno di produzione del film), Oshii ha condensato nell’evoluzione narrativa del suo già osannato Ghost In The Shell una tale mole di riflessioni filosofiche sull’identità e i confini di ciò che chiamiamo ‘vita’ per distinguerlo da ciò che chiamiamo ‘macchina’, da spingerci spesso a fermare il lettore per riascoltare i dialoghi: solo un giapponese poteva concepire un “cartone animato adulto” d’un livello in grado di porsi immediatamente come punto d’arrivo della s/f che parte con Blade Runner e passa per Matrix e Strange Days.
Per dare una misura della forza dell’operazione giusto un paio dei momenti per noi più notevoli della sceneggiatura: il dialogo fra i due detective e l’analista della scientifica sulla prima ginoide killer, densissimo di riflessioni e interrogativi esistenzial-filosofici, che si chiude sulla ricercatrice che si sfila da sola un pannello frontale mostrando d’esser a propria volta un cyborg. E l’investigazione allucinatoria nel palazzo delle illusioni dell’hacker malvagio, in cui ciascun personaggio rivive lo stesso momento in maniera diversa, perdendo in un vero trip psichedelico la distinzione certa fra reale e simulazione.
Al di là del puro giudizio critico cinefiliaco sul film, qui ci premeva mettere in luce (neon!) la possibilità dimostrata dal film, di far evolvere i semi lanciati nel mondo della s/f dal cyberpunk, che molti (troppi) si ostinano a considerare una semplice corrente, con un ciclo di vita, per di più ormai sostanzialmente concluso. Secondo noi non è così: come il punk rock, il cyberpunk ha rappresentato una frattura dalla quale non si torna indietro dichiarando conclusa la “corrente”.
Personalmente, ce lo siamo sentiti dire più volte, proponendo un romanzo di gusto cyberpunk agli editori per la pubblicazione: “il cyberpunk è vecchio ormai, è morto… ha tradito le attese di spaccare il mondo in due… un po’ come il punk in musica”…
La visione apocalittica, entropica, del futuro, il non raggiungimento dell’equilibrio planetario grazie alle scoperte scientifico tecnologiche (come nelle visoni della s/f classica), la con-fusione di umano e sintetico, di reale e virtuale, oggi sono attualità e non più prospettive. Ma questo non significa che “la corrente è finita”, forse solo che oggi non ha più senso considerarla corrente: forse oggi tutta la s/f è già post cyberpunk…
Bisogna solo spingere la visione più in là. Mamoru Oshii c’è riuscito.
Per approfondire, vi invitiamo a dare una lettura alla solita wikipedia, di cui ne riportiamo un estratto: "Ghost in the Shell: L'attacco dei Cyborg (イノセンス, Inosensu?, pronuncia giapponese della parola inglese "Innocence"), conosciuto anche col titolo internazionale Ghost in the Shell 2: Innocence, è il sequel del film d'animazione Ghost in the Shell. È stato scritto e diretto da Mamoru Oshii ed è basato sul manga originale di Masamune Shirow.
Nota:
Distribuito nelle sale cinematografiche giapponesi il 6 marzo 2004 e costato circa 20 milioni di dollari, il film è stato prodotto da Production I.G, azienda già autrice del film precedente e delle due serie televisive Ghost in the Shell: Stand Alone Complex (攻殻機動隊 STAND ALONE COMPLEX, Ghost in the Shell: Stand Alone Complex?) e Ghost in the Shell: Stand Alone Complex - 2nd GIG (攻殻機動隊 S.A.C. 2nd GIG, Ghost in the Shell: Stand Alone Complex - 2nd GIG?).
(http://it.wikipedia.org/wiki/Ghost_in_the_Shell:_L'attacco_dei_Cyborg)