“Dimmi, in quale preciso momento un individuo smette di essere quello che crede di essere?”
(R. Topor)
“Che altro è la vita se non una morte lenta ?”
(A. Jodorowsky)
Nel 1962 Roland Topor fonda il movimento Panico insieme a Jodorowsky e Arrabal, destinati a diventare presto due numi di un cinema ferocemente surrealmisticopoliticosatiricosceno, sempre comunque larger than life. Ma all’inizio il Panico si produceva in provocatorie azioni teatrali che oggi si definirebbero performative, scioccanti e violente per il pubblico in ossequio al verbo artaudiano.
Tuttavia, un esito fra i più felici e durevoli del movimento è stato un romanzo, scritto dall’illustratore-drammaturgo-attore Topor: Le locataire chimerique, da noi L’Inquilino del terzo piano (da lunedì 4 in vendita anche al teatro Litta nella ristampa Bompiani, a lato la copertina). Poco noto come libro, ha però dato la vita al più celebre film omonimo, girato a Parigi nel ’76, non da un compagno di Panico ma dal polacco Roman Polanski, della cui ondivaga filmografia è per certo uno dei punti più forti (qui a lato la fascetta del dvd).
Anno 2016: si torna a teatro, con la versione de L’Inquilino che Claudio Autelli porta appunto al Litta (coproduzione MTM/Lab121) in una messa in scena assai lineare, ben lontana dalle provocazioni del Panico che fu ma assai fedele al clima d’inquietudine strisciante del romanzo e del film (giustamente inserito da Nocturno nel dossier Paranoia Vortex, N. 126 del febbraio 2013). Una paranoia che Angelo Iocola, nell’articolo relativo, definisce inoppugnabilmente “kafkiana”: cosa spinge l’insinuante cospirazione condominiale ad insidiare il povero neo affittuario Trelkowsky? Non lo sapremo mai, probabilmente gli stessi motivi che riducono un rispettabile commesso viaggiatore ad un mostruoso insetto “impresentabile” agli occhi del mondo. Eppure, quella persecuzione snervante quanto immotivata (o forse proprio per quello) spinge il protagonista a perdere sempre più la propria identità per assimilarsi a quella della sventurata Simone Choule, precedente inquilina del suo stesso appartamento, fino a ripercorrerne il tentativo di suicidio e a chiudere così la trama su se stessa in un tragico nastro di Moebius mentale e sociale.
Autelli dirige con mano sicura un valido quartetto di giovani attori (nelle foto di scena ai lati), che si prodigano a dar vita alla dozzina di personaggi cui la drammaturgia ha prosciugato il cast romanzesco: Michele Di Giacomo/Trelkowsky, Alice Conti/Stella (ma anche l’inquilina irosa e altre figure femminili di contorno), Giacomo Ferraù/Zy, proprietario impagabilmente viscido (ma anche commissario di polizia) e Marcello Mocchi (cameriere del bar e altri inquilini). Personaggi che da un certo punto (quando nel film Trelkowsky comincia a vedere i quadri che si animano) assediano il protagonista con inquietanti maschere animali che ricordano un po’ quelle del thriller You’re Next (pure del 2013, vedi foto qui a), anche se le maschere erano usate anche nelle performance paniche.
L’adattamento del testo del regista ha mantenuto nella drammaturgia alcune narrazioni in terza persona, sicché talvolta gli attori si sdoppiano anche fra il proprio personaggio e un ideale narratore esterno. Autelli non cerca espedienti spettacolari horror per confrontarsi con l’ingombrante modello cinematografico sul campo dell’immagine: il punto forte del suo spazio scenico è una specie di cabina armadio (foto qui a destra), un parallelepipedo realizzato assemblando vere porte di legno anni ’50 in una struttura girevole su ruote che diventa ora porta dell’appartamento di Trelkowsky, ora finestra, parete divisoria, specchio… un espediente (ideato dalla scenografa Maria Paola Di Francesco) geniale nella sua semplicità, che perfettamente rende la minacciosa “vita propria” dell’infìda magione che progressivamente inghiotte il suo abitante, nel film resa con immagini più folli come i denti imprigionati nel muro, buchi e crepe nelle pareti stesse.
Se è vero che il film di Polanski si presta a numerose chiavi di lettura (metafore autobiografiche, di reincarnazione, omosessualità o doppio immaginario), la messinscena di Autelli ci guida decisamente verso quella che abbiamo già definito paranoia sociale kafkiana: la cospirazione che mina l’individuo è la pressione del mondo esterno sui fragili confini della sua identità.
Da vedere, procurandosi il romanzo da leggere, fino al 10 aprile.
Mario G