“I'm adaptable, I'm adaptable
I'm adaptable and I like my new role
I'm getting better and better
And I have a new goal
I'm changing my ways where money applies
This is not a love song
This is not a love song
This is not a love song
This is not a love song
This is not a love song
Not a love song
This is not a love song
Not a love song”
(John Lydon/PIL)
Caos è uno spettacolo che ha girato i festival di mezzo mondo, ma è cosa intrinsecamente milanese.
Lo vidi per la prima volta al Teatro Greco (oggi tristemente chiuso), se non nell’88 poco dopo. Era Capodanno ed era la prima volta che da Lodi facevo tanta strada nella nebbia fino alla periferia nord di Milano. Sapevo poco o nulla di teatro danza e fu una folgorazione.
Corpi in movimento frenetico, su e giù dalle scale, avanti e indietro, continuamente, per andare in nessun luogo, come suggerito dai brevi, surreali testi che incorniciano le azioni coreografiche, performative dei sette danzatori, fisicamente prestanti ma anche estremamente espressivi sul piano attoriale. Con un gesto, un’alzata di sopracciglio, comunicano perfettamente il mood emotivo che informa l’azione in corso, astratta come solo la vita quotidiana nella metropoli riesce ad esserlo.
Oggi Quelli di Grock lo ripropongono in versione rimodernata (remix), anche se dopo tanto tempo io non sono più in grado di precisare quali scene sono rimaste dell’originale (di certo le scale e l’“idrotecnico” finale con gli spettacolari spruzzi d’acqua) e quali sono nuove. I danzattori di certo lo sono, credo abbiano circa la stessa età della coreografia. Ma sono bravissimi e meritano la citazione: sono Simone Severgnini, Ludovico D'Agostino, Jacopo Fracasso, Andrea Lietti, Isabella Perego, Maria Cristina Stucchi e Marie-Rose Mayele.
Alzarsi, mettersi le scarpe, entrare, uscire, schiacciarsi su sconosciuti in un mezzo pubblico per andare in un altro dentro, aprire porte, salutare, sorridere, stringere mani, uscire, riprendere mezzi affollati di altri nessuni, viaggiare, tornare a nessun luogo. Leggere un giornale e subito dopo appallottolarlo come carta straccia finché qualcun altro lo raccoglie ridonandogli dignità di oggetto di lettura, per poi rigettarlo via. E ancora e ancora e ancora.
Oggi l’impatto è meno dirompente che nell’88, certo. Gli innumerevoli spin off dei Momix, gli Stomp e tutta la ricca congrega del teatro danza pop “commerciale” hanno sviluppato la formula in ogni direzione. Ma l’energia rimane. Il brano del giornale, ripetuto a velocità crescente da nastro accelerato è di un virtuosismo pazzesco.
Ritmato da brillanti musiche funky e sempre pronto a declinare l’assurdo verso il sorriso (a volte fin troppo ammiccante, come nella lunga scena d’apertura sul danzatore che sbaglia e si scusa col pubblico per poi costringere tutti a ripetere la scena) piuttosto che verso il dramma, Caos – anche quando non suona della musica – ti fa schioccare le dita aspettandoti che da un momento all’altro parta I Zimbra dei Talking Heads (non so perché, ma ieri sera mi sembrava una canzone perfetta per lo spettacolo). Vi sembra una serenata d’amore per Grock? This is not a love song / This is not a love song / This is not a love song…
Ok, l’articolo potrebbe essere già finito qui. Ma la scena si ripete, come il quotidiano. Ancora e ancora. Remix. Esco di casa. Mi metto lo scooter. Saluto il teatro. Respiro la calca. Sventolo un pieghevole di Invito a Teatro. Lo getto, qualcuno lo ballerà. Bevo un biglietto nel foyer. Entro nel funky. Batto mani strette. Sorrido bollicine alla porta. Ballo in strada la catena. Stringo il bloccasterzo. Aspiro un gelato post punk. Saluto l’apri-porta. E me ne vado vagamente convinto d'aver fatto qualcosa di buono. Torno verso il caldo nulla.
That tunnel vision, not television
Behind the curtain, out of the cupboard
You take the first train into the big world
Now will I find you, now will you be there?
Not a love song
Not a love song
This is not a love song
This is not a love song...
Mario G