Di Libri da ardere avrei voluto parlarvi l'anno scorso, accostandolo alla messinscena di Fahreneit 451 di Ronconi che avevo visto al Piccolo (qui sotto a destra la locandina): un accostamento quasi obbligatorio fra due testi letterario/teatrali in cui il libro - come simbolo di cultura, dialogo, 'umanità' - viene contrapposto da un lato alla censura di una società totalitaria, dall'altro all'oblìo della guerra.
Poi me ne è mancata l'occasione; recupero ora, che il testo di Amélie Nothomb prodotto da Teatridithalia per la regia di Cristina Crippa e l'interpretazione di Elio De Capitani torna in scena al Filodrammatici di Milano (9-18 gennaio).
Una città, forse di un paese dell’Est europeo (ma perché non della Palestina attuale o... dell'Europa imminente?), in un gelido inverno di guerra, è stretta nella morsa finale di un assedio.
Un tempo la città aveva una rinomata università e una brillante vita culturale; ormai è semidistrutta dai bombardamenti e ridotta alla fame.
Ancora in piedi, la casa di un professore di letteratura ospita, con lui, il suo assistente Daniel e una giovane allieva, amante di turno di Daniel.
La situazione d’emergenza altera brutalmente questo microcosmo: a poco a poco crollano tutti i punti di riferimento, travolti dal puro desiderio di sopravvivenza, che inverte e modifica ogni rapporto, intellettuale, affettivo, di potere, stravolgendo il senso intimo di ogni gesto, di ogni abitudine.
Il freddo domina la scena, con la sua capacità di paralizzare, di annullare ogni desiderio che non sia legato ad un pur minimo innalzamento della propria temperatura corporea.
Già leggendo questo sunto di trama sul bel programma di sala (firmato dalla regista Crippa, con la sua storia della genesi del lavoro) viene scontato il riferimento al Fahrenheit 451, tra l’altro fra i pochi libri autentici citati nel testo della Nothomb. In entrambi il libro, simbolo di cultura, profondità d’animo, di tutto ciò che eleva la coscienza dalla brutalità, è in grave pericolo “pirico”. In Bradbury, a causa di un regime totalitario che ha sostituito la lettura con una più comoda apatia televisiva (guarda un po’), premonitrice della nostra postmodernità. Qui, a causa di una guerra (argutamente mai contestualizzata, quindi potenzialmente universale), che rigetta la società nella miseria premoderna, nel bisogno primordiale di proteggersi dal freddo.
Detto questo, i due testi (e le rispettive messe in scena) non potrebbero essere più diversi: °F 451 (sia il romanzo che la drammaturgia teatrale dello stesso Bradbury) è un classico della fantascienza sociologica, che prefigura una (molto attuale) deriva della società di massa. In Libri da Ardere invece, il dramma collettivo (guerra), benché motore della vicenda e della degenerazione dei rapporti fra i personaggi, resta sullo sfondo. In primo piano sta il gioco intellettuale (un po’ snob, a tratti veramente spassoso, fin troppo): a quale libro possiamo rinunciare prima, per procurarci una fiammata di calore? Ne risulta una gustosa sarabanda satirica sulle paranoie dei letterati, sugli isterismi degli accademici, sulle loro imposizioni ai propri studenti di letture micidiali (sempre inventate nel testo quelle su cui si discute). Alla fine hai fin voglia di cercarti in libreria ‘sto mitico Ballo dell’Osservatorio su cui si scannano i protagonisti.
Il finale è amaro, la guerra fa un deserto di tutto, cultura, passioni, dignità. Tuttavia, il gioco intellettuale ci distanzia inevitabilmente dalla realtà della tragedia (accade anche in °F 451, coll’immagine poetica dei “libri umani”, o in certi racconti surreali di Borges in cui il libro è al centro della storia più del personaggio umano): il fatto stesso di riuscire a preoccuparsi di che libro salvare ci solleva dall’abisso, per contemplare davvero il quale bisogna tornare al Blasted di Sarah Kane/De Capitani, in cui l’orrore ci investe senza riparo denudando la nostra miseria totale.
Nella mia personale visione, Libri da Ardere completa in qualche modo un’ideale trilogia dell’Apocalisse Incombente con °F 451 e Blasted: nulla lega in effetti questi due testi fra loro, ma quello della Nothomb ha a che fare con entrambi. Ha al centro il rogo della cultura e ha la stessa struttura di quello della Kane: tre personaggi – due uomini e una donna – prigionieri di una stanza, fuori dalla quale imperversa un conflitto imprecisato, che porterà alla rovina tutti loro, le loro relazioni, tutta l’“umanità”. È un trittico virtuale in cui gli estremi non si toccano, dunque, ma in cui ciascuno spettacolo ha almeno un punto di collegamento con almeno uno degli altri due.
Tornando alla sobria scena di Crippa/Nothomb, è una bella idea registica quella di spogliarla progressivamente man mano che i libri vengono bruciati, mentre personalmente trovo meno riuscite le scelte ancora legate all’origine del lavoro di lettura drammatizzata. Penso per esempio a quella di far recitare agli attori (l’ottimo Elio De Capitani (qui a destra e in apertura) è il Professore, Elena Russo Arman (sopra a sin.) – già ‘ragazzina’ in Blasted – la studentessa, Corrado Accordino l’Assistente idealista) le voci fuori campo, come didascalie delle proprie stesse azioni. Un espediente che giova sicuramente più alla temperatura di comedia del lavoro che al suo senso ultimo raggelante.
In ogni caso, Libri da Ardere è uno spettacolo da vedere - reso ahinoi più "necessario" dal vioento momento storico che ci troviamo a vivere - e che, nonostante la crepuscolare materia, si vede con piacere fino in fondo; dove anzi a mio parere dà proprio il meglio di sé, trasmettendoci finalmente tutto il freddo che ha nelle sue ossa.
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Singolare quanto triste concomitanza, abbiamo scoperto da pochi giorni che la Libreria del Giallo (in via Peschiera a Milano) annuncia un'imminente chiusura dell'attività per sfratto. Chi ci legge con continuità ricorderà che lo scorso anno ci presentammo l'antologia Frammenti di una rosa quantica con alcuni altri autori connettivisti. Un bel momento, speravo di ripeterlo alla pubblicazione del mio romanzo, annunciata per l'estate 2009. Ora so che l'occasione non si ripeterà. Nè per me né per altri.
E' sempre doloroso assistere a un teatro che chiude (ho assistito alla voragine che ha preso il posto del Ciak), a un cinema che si spegne per sempre (sulla strada che mi porta al lavoro, il Gran Sasso è sprangato da un anno circa), a un negozio di dischi o, appunto, una libreria che chiudono per diventare l'ennesimo shop di telefonini o scarpe alla moda.
Ci sono i multimedia store, certo... Ma non ci troverete Robot, o Frammenti di una rosa quantica. Mentre il negoziante specializzato è un appassionato che consiglia il cliente, osa, rischia, quindi amplia le sue vedute mentre gli vende il prodotto. E questo si sta perdendo: io sono di Lodi, quand'ero ragazzo c'erano 5 negozi di dischi in città, ora nemmeno uno. Ed è così ormai in ogni città di provincia.
Anche il Studio di Restauro Furlotti (già set del nostro Con gli Occhi di Domani), che pure si occupoa di libri, anche se antichi, sopravvive a stento nel gelo, sempre a rischio di chiusura per estinzione degli investimenti destinati al restauro.E fuori fa sempre più freddo.
Mario G