Oltre all’album di Sophya Baccini di cui s’è detto da poco, la genovese Black Widow ha licenziato di recente diversi album in cui la temperie musicale dominante è quella del recupero del progressive: in particolare, quel suono in cui l’organo occupa il proscenio rispetto alla chitarra elettrica. Ecco perché rubiamo a un’antologia di Bukowsky (Musica per organi Caldi) il gioco di parole del titolo (che già da sé evoca subito le morbose atmosfere dello “spaghetti-thrilling”, non trovate?).
Il pensiero corre subito ad Emerson Lake & Palmer (il grande Keith fu autore tra l’altro delle musiche di Inferno) e, in Italia, ai Goblin di Claudio Simonetti, le cui composizioni – dal classico Profondo Rosso di Gaslini – furono la colonna sonora dei classici di Dario Argento e di lì di tanto fanta-horror italico dell’era aurea del genere.
Bene, in effetti proprio in quest’area ci troviamo: di seguito, recensiamo quindi i tre album separatamente, dedicando a ciascuno un riferimento cinematografico ideale fra i titoli cult di quell’epoca per aiutarvi a collocarli nella vostra mappa dei “colori del buio”.
Three Monks – The Legend Of The Holy Circle
È l’album più spiccatamente “emersoniano” del lotto: la formazione a trio (Bozzi al basso, Bichi alla batteria) rimane la medesima del precedente album, programmaticamente intitolato “Neogothic progressive toccatas” e, anche senza espliciti omaggi argentiani come in quel disco (dove spiccava la cover proprio di Profondo Rosso), l’aria che tira è proprio quella umida e sepolcrale della cattedrale gotica, illuminata da candelabri e ovviamente infestata da demoni cattivissimi, in attesa di celebrare riti blasfemi con discinte fanciulle legate sui marmorei altari.
L’atmosfera è chiara (anzi, scurissima!) e spessa: si sente che il cuore di Julius Lazzeri (organista sepolcrale già dal nome) chiaramente batte forte per le fughe di Bach, se mai il limite del disco (interamente strumentale) risiede proprio nella scarsa varietà timbrica determinata dall’organico all’opera.
Album del mese a Moshpit (ulteriore conferma del legame prog-metal, anche a livello di gusti del pubblico), non sarà agevole da fischiettare sotto la doccia ma ideale per chi… si accinga a girare un remake de La Chiesa di Soavi (a destra una scena)!
Daemonia – Dawn Of The Dead/Zombi
I Daemonia sono la formazione post-Goblin di Claudio Simonetti, senza Morante e Pignatelli, sostituiti qui da Amorosi (basso) e Tani (drums), coll’aggiunta (assai proficua) di Bruno Previtali alla chitarra elettrica, che arricchisce l’impasto sonoro di una grinta più hard/metal (che per esempio non troviamo nei Three Monks).
Ho letto non so più dove una critica negativa che accusava Simonetti di cercar di lucrare infinite volte sulle sue stesse composizioni storiche: bene, io in verità non avevo questi brani in altri album di colonne sonore gobliniane, e vi dico che le rielaborazioni attuali del mitico tastierista figlio d’arte si fanno ascoltare con piacere, sono – se non nuove – varie nelle atmosfere e nelle sonorità (dal vaudeville di Torte in Faccia alle percussioni haitiane di The Safari). A scanso d'equivoci, poi, Simonetti riarrangia proprio la Toccata e Fuga di Bach (ci risiamo) con chitarroni metallici, il che crea un ulteriore legame coi Tre Monaci organistici.
Non sarà il disco più sorprendente dell’anno, ma il tema del Cartaio (per dire anche un film che non è entrato nella storia) nella nuova veste merita l’ascolto. Ideale per chi… vorrebbe ritornare sulla saga dei ritornanti di Romero, o su quelli haitiani sanguinosissimi di Fulci (locandina a destra), citati nel titolo del disco (e nelle immagini del booklet)!
Doris Norton – Parapsycho
L’album più bizzarro del lotto (nel senso della incredibly strange music) è una ristampa, una di quelle chicche rispolverate dal passato in cui si prodiga l’etichetta di Max Gasperini (come ad es. nel caso dei toscani Spettri): data infatti al 1981 l’album della bella tastierista (anche vocalist nel brano eponimo dal riff marcatamente deeppurpleiano, la vedete nella foto in apertura), già strumentista nelle band Jacula e Antonius Rex di Bartoccetti, altro reuccio dell’organo goth prog all’italiana (basti vedere le sue copertine, ne avete un esempio recente sotto a destra). Il quale collabora infatti anche a questo suo debutto solista insieme a Tullio De Piscopo alle percussioni (!).
Debutto che ha un gusto curioso, un po’ a cavallo fra due ére, com’era appunto il momento in cui vide la luce: da un lato il progressive tastieristico Tangerine/Schulze che tendeva al tramonto, dall’altro il suono synt della cold wave dei John Foxx e Gary Numan, che andava a prenderne il posto.
Dirlo allora era bestemmia, ma forse fra i due mondi c’era più continuità di quanto apparisse (provate a risentire oggi un PXR5 degli Hawkwind e capirete cosa intendo); magari un disco minore di quell'epoca, leggero e lounge come oggi suona questo, aiuta a notarlo (tra l'altro, la stessa cosa la facevano i sempre italiani Black Hole col binomio dark hard/dark wave).
Qua e là la sua elettronica vintage potrebbe anche farvi venire in mente addirittura i kitschissimi Rockets (sempre circa di quell’epoca), ma – coi suoi impasti di synt e flauto – Parapsycho si rivelerà ideale soprattutto per chi… pensasse a un remake di un bel giallo sexy alla Lenzi (a sinistra una composizione di locandine pulpissime del thrilling italico anni '70) o di qualche poliziottesco alla Milano Odia!
Le associazioni filmiche qui sopra son del tutto soggettive, beninteso, nulla di dogmatico. Però smuovono qualche riflessione: per vari motivi, tendiamo ad associare l’horror col metal (legame predominante solo dagli ’80 in qua) e la s/f con i suoni gelidi dei synt, ma va notato che nel fondamentale periodo degli anni ’70 horror e fantastico suonavano assai prog: prima ancora dei Goblin, pensiamo al Tubular Bells nell’Esorcista (influenza pesante su Simonetti e su molti score successivi di Carpenter), ai Tangerine Dream che, dal Salario della Paura sempre di Friedkin (Sorcerer, ‘77) danno suoni al fantastico hollywoodiano fino al Buio si Avvicina della Bigelow (1987); o ancora ai Popol Vuh di Nosferatu, come agli Osanna per il giallo all’italiana, fino appunto all’Emerson verdiano di Mater Tenebrarum.
A proposito, notata la somiglianza della locandina di Inferno (1980, a sinistra) con la copertina gigeriana di Brain Salad Surgery degli ELP (qui a destra), che risale ben al ’73?
Meditare, meditare…
Mario G