Con questa recensione Posthuman dà il benvenuto a Catia Pieragostini (qui il suo blog), un'altra autrice ospite dell'antologia 365 Racconti Horror Per Un Anno che - come già Scilla Bonfiglioli - dalle pagine del libro Delos Books approda alle nostre colonne online per affrontare uno dei film più impegnativi dell'annata: il quinto opus di Terrence Malick, regista perfezionista e schivo, poco prolifico, che per questo suo ambiziosissimo affresco 'cosmico' ha attirato su di sé (oltre alla Palma d'Oro a Cannes) sperticate lodi di capolavoro assoluto e anche qualche riserva d'aver troppo ambìto concettualmente, filosoficamente, per un 'semplice' film, come se avesse dovuto distillare in esso il senso di tutta una vita... o forse della vita stessa.
Arduo compito dunque trovare un equilibrio fra i due estremi, per il quale lasciamo subito la parola a Catia.
Critici e spettatori sono unanimi. Unanimi nell'essere equamente divisi tra quelli che gridano al capolavoro e quelli che hanno bollato questo film come delusione abissale.
Di fatto, e purtroppo, The Tree Of Life non è né l'una né l'altra cosa.
Se fosse in tutto e per tutto una noia mortale, avrei vita facile nello sconsigliarvene la visione. Mentre qui siamo di fronte ad un'opera sicuramente ambiziosa e criptica, ma comunque profonda e carismatica che, sebbene a denti stretti, una visione al cinema la meriterebbe.
Non vi nascondo che sarà un'impresa ardua, ma andate pure prevenuti, pensando che sarà una sofferenza e che vi state immolando sull'altare della Cultura: è di sicuro il metodo migliore per scoprire quanto di buono può offrire questo film.
Il regista e sceneggiatore (ma anche produttore, attore, compositore, giornalista, operaio nei pozzi di petrolio, professore di filosofia...) Terrence Malick, figura fuori dal comune e riconosciuto geniale dai tempi de La Rabbia Giovane e La sottile linea rossa, chiede molto ai suoi spettatori e molto da in cambio, senza peraltro curarsi che tutto sia di facile comprensione. Non scende a compromessi, non ci lusinga. Il suo intento non è di compiacerci, ma di scavarci dentro un solco a forma di grosso punto interrogativo.
Quindi mette in scena tutte le domande più importanti che l'essere umano può porsi sul senso della vita, del dolore, della morte, della fede.
Non molti hanno il coraggio di spingersi così oltre nell'usare la settima arte come mezzo per ricordarci che questo è l'uomo, parte dell'universo, un microcosmo nel macrocosmo, che vive alla continua ricerca di Qualcuno che possa dargli delle risposte. Invece Malick, impavido indagatore dell'ignoto, scrive e dirige un film per ricamare in un unico arazzo tanto il mistero del cosmo (con le sue stelle e i suoi pianeti), quanto quello della Terra (con i suoi quattro elementi e gli esseri viventi tutti, dai dinosauri ai fili d'erba), quanto quello di una famiglia di persone qualunque (che nell'universo e qui sulla Terra vivono e muoiono proprio come tutto il resto).
Sebbene splendide, le immagini da Superquark (del cosmo, degli abissi marini, degli stormi di uccelli...) spiazzano lo spettatore già dal loro primo comparire e poi al loro ricorrere, punteggiando svariati momenti della pellicola.
Nonostante tutto il loro fascino e corredate da voci fuori campo su cui si concentra la poetica delle tematiche trasposte, sono forse il punto debole del film, a dispetto della citazione al suggestivo finale di 2001 – Odissea nello Spazio, a cui forte è il rimando visivo.
Per contro, lo spaccato della famiglia texana degli anni '50, raccontata prevalentemente attraverso i ricordi del figlio maggiore mentre rielabora l'autoritaria figura paterna e il dolore per la perdita di uno dei fratelli, ha un notevole impatto narrativo, anche se affidato quasi in toto alle inquadrature e alla fisicità degli attori più che ai pochi dialoghi diretti.
Fisicità degli attori, per inciso, che non delude. Il fascino di Brad Pitt non stona col suo ruolo di padre che ama senza saperlo dimostrare. L’espressività di Jessica Chastain (nella foto qui a sinistra) incarna al meglio l’affetto silenzioso e senza riserve della madre. La straordinaria freschezza dei ragazzini incanta nella resa dei dubbi legati al conflitto col padre (non solo quello terreno, ma anche quello Celeste…).
Il volto eternamente dolente di Sean Penn ci traghetta con efficacia tra le varie dimensioni: realtà, flash back, percezione interiore.
Intensità e densità dell'opera sono dunque innegabili, su più fronti, eppure resta difficile considerare The Tree Of Life il capolavoro di Malick. Tutto sommato, in più punti, la ricerca estetica e formale prevarica il coinvolgimento emotivo dello spettatore a rischio di lasciarlo freddo e scettico più che partecipe e affascinato…
Detto questo, senza poterlo stroncare come “inguardabile” e senza peraltro poterlo proprio osannare come “superlativo”, ne consiglio la visione comunque: il Cinema non è solo Arte o solo intrattenimento, ma l’ideale combinazione di queste due diverse nature. Ne può essere la perfetta summa, capace di impegnare i nostri sensi come i nostri cuori e le nostre menti.
A Malick va dunque concessa la chance di risvegliare le nostre coscienze intorpidite attraverso un linguaggio universale da un lato (il potere del grande schermo), e inusuale dall’altro (il modo personalissimo che ha di presentarci la sua filosofia).
Riusciremo forse a guardare un po’ più a fondo dentro di noi o anche più in là del nostro naso e il nostro spirito critico ne gioverà in ogni caso.
Arricchimento interiore? Sì, grazie.
Catia Pieragostini