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"Balliamo balliamo
Mia nera signora
Balliamo balliamo
Venuta la sera"
(La Crus, Nera Signora)
The Woman in Black è il film tratto dal romanzo omonimo di Susan Hill (in Italia edito Polillo). Diretto da James Watkins - già regista dell'ottimo Eden Lake (purtroppo indeito da noi) - e coprodotto dalla rinata Hammer con mezzi più che sufficienti a dar vita alla scenografia della sontuosa/minacciosa casa sulla palude (come in ogni buon film di case infestate, a tutti gli effetti il vero protagonista della vicenda), si tratta di una classicissima ghost story gotica ambientata verso i primi del '900 (carrozze e prime auto): molto british, molto nebbiosa, tutta cigolii, porte che sbattono e apparizioni improvvise, come vi suggeriranno anche le immagini ai lati.
Del caso che il libro ha rappresentato in Gran Bretagna (e della serie tv che ha preceduto questo film alla fine degli '80) leggete su Nocturno di febbraio. Io non ho letto il libro quindi mi limito a parlare della pellicola come invece Fabrizio Fogliato non poteva fare al momento di scrivere il suo servizio, essendo essa nelle sale italiane dal 2 marzo.
Come in ogni film del sottogenere 'case infestate, si diceva, della trama (che probabilmente ormai conoscerete già) è presto detto: il giovane avvocato vedovo Kipps (Radcliffe) viene inviato a curare la successione testamentaria della proprietaria della 'maledetta' casa nella palude, morta suicida dopo l'annegamento del figlio in quest'ultima.
Ma, va da sé, il fantasma non intende mollare la magione e le sue apparizioni si fan sempre più frequenti e minacciose.
L'indagine del malinconico avvocato diventa quindi un disperato tentativo di rimediare alla terribile ingiustizia che la donna (un po' come nella ghost story di marca japan-horror) sembra aver patito in vita.
Plot abbastanza risaputo, dunque, e non servito secondo me da una sceneggiatura particolarmente raffinata: l'abbandono del figlio piccolo a Londra da parte di Kipps, l'arrivo nel gelido villaggio e l'ostilità dei locali, insomma tutti i "preliminari" psicologici del dramma che va ad esplodere, vengono esposti in maniera piuttosto spiccia e senza sfumature.
Forse Watkins si rende conto che si tratta di un bel baule di luoghi comuni (ma nemmeno cerca di rinnovarli) e cerca di uscire alla svelta da quella palude (più insidiosa di quella intorno alla casa) per entrare nel vivo della faccenda. Che chiaramente è la suspence delle notti trascore nella casa maledetta, preda degli assalti fantasmatici della Nera Signora al Giovin Signore cercatore di verità.
Al cui personaggio peraltro non giova particolarmente l'interpretazione di Occhioni Radcliffe, che chiaramente intende scrollarsi di dosso l'insopportabile maghetto cui deve lo stardom ma, nella parte dell'eroe tormentato dalla perdita dell'amatissima moglie per parto, a mio parere è assai meno struggente - per esempio - di un Johnny Depp nell'analogo ruolo in From Hell (da noi La vera storia di Jack lo Squartatore, titolo imbelle ma da rivalutare, anche se distantissimo dal fumetto-capolavoro di Alan Moore).
Cosa resta dunque di questo film, se la storia è scontata, la sceneggiatura prevedibile e la recitazione non intensa? Solo le efficaci riprese degli incombenti arredi della vecchia casa nel buio e le bambole, come sempre inquietanti coi loro occhi fissi nel vuoto?
No, c'è un'altra componente che alla fine vien fuori prepotente e domina la parte centrale del film giustificandone la visione: la PAURA. Sana, vecchia paura delle improvvise apparizioni del fantasma e del suo bambino tristemente sprofondato nel (e risorgente dal) fango. Quando Kipps/Radcliffe è solo nella casa di notte e in ogni stanza lo perseguita una visione di morte, anche da spettatori navigati dell'horror, si salta sulla sedia. E si comincia a temere di dover andare a letto da soli nel buio alla fine del film.Non è una cosa banale: ci sono film in cui si squartano decine di personaggi e comparse senza che ciò generi la minima paura (magari schifo) e film in cui sono allineati gli stessi elementi che in questo, eppure là la vera suspence non scatta, qua sì. Perché? Autosuggestione, calcolata alchimia riuscita, gioco sporco (appare fantasma-botto sonoro e noi saltiamo)? Non ve lo so dire, ma la sensazione è stata quella.
E se il fine di un film dell'orrore è quello storico di "far paura" (se n'era parlato in tutt'altro contesto e per tutt'altra problematica a proposito del film Martyrs), questo ci riesce. Non innova il linguaggio cinematografico (nè quello dell'horror in particolare), non ci troveremo a parlare di citazioni tarantiniane o di scene cult, ma nella paura ci ritroviamo invischiati.
Un altro problema di queste trame fortemente radicate nel fantastico è come uscirne: risolvere la situazione? Il film s'affloscia proprio sul finale. Lasciarla sospesa? Bisogna essere dei maestri alla Lynch, se no sembra un film incompiuto. Rilanciare sul finale col ritorno del fantasma che appariva scacciato?Sembra che stai già lanciando il sequel.
Invece devo dire che Watkins (o Susan Hill) - pur scegliendo un finale un po' "alla The Others" (l'immancabile) - riesce a chiudere la sua trama senza deludere, anzi riuscendo a saldare il dolore di Kipps a quello del fantasma, dando un senso (e una stuzzicante ambiguità interpretativa finale) al clima di disperato dolore che pervade l'intero film, con tutte quelle famiglie sconvolte dalle continue morti dei figli bambini (è questo l'ambiente psicologico più interessante intenso offertoci dal film).
Dice la pagina sul film di Wikipedia che esso è stato definito dalla stampa angloamericana "il film più pauroso dell'anno". Non so se sia vero o se sia una frase promozionale, ma personalmente concordo.
Se un'ora e mezza di solida suspence vi vale 8,5 euro, la Nera Signora vi aspetta.
Mario G