“I travel through mirrors, through night
I fly with the screech owl and the bat
and carry the bodies of babies
in my ragged fingers”
(da ‘Lilith’, di Sylvia Chong)
Kaylie – che all’epoca non aveva ucciso nessuno – invece non è passata attraverso la psicanalisi, nessuno ha “risanato” dall’esterno la sua visione dei fatti e lei non ha ancora chiuso i conti col passato: in un’asta ha rintracciato lo specchio, proprio quello che campeggiava nello studio in cui il padre (novello Jack Torrance di Shining) aveva iniziato la propria discesa agli inferi della pazzia.
Ora vuole affrontare il Male e sconfiggerlo prima che faccia altre vittime. Perché nel tempo ha fatto ricerche e ha trovato conferme (vedi foto a lato): non solo papà, ma tutti quelli che nella storia han posseduto il diabolico e indistruttibile specchio sono morti malamente, spesso lasciando dietro di sé una scia di sangue. Il mostro non era lui, è lo specchio.
Perciò una sera l’incredulo Tim si ritrova nella vecchia casa di famiglia con la sorella, attrezzatissima (foto a sinistra e sotto a destra) con due videocamere, termometri, orologi, provviste, una pesante ancora sospesa al soffitto, pronta a ghigliottinare il vetro maledetto, se non volontariamente bloccata ogni mezz’ora da mano umana e… bizzarri compagni d’avventura, in vaso (pare che lo specchio si nutra delle piante, facendole appassire di colpo) e a quattro zampe (anche il cane dei due fratelli bambini era stato “risucchiato” dallo specchio degli orrori).
Ma il potere dell’occulta superficie riflettente (in realtà una porta verso l’Aldilà, sulla cui origine purtroppo nulla sapremo nel corso del film) è infido e micidiale: stende le piante, inganna le tecnologie e, quel che è peggio, le menti. Il regista ci impagina i fatti della serata in un sapido montaggio alternato con i ricordi dei due fratelli sulla fatidica notte della loro infanzia (ottimo il casting di Kaylie bambina, Annalise Basso, molto somigliante a Karen Gillan, cioè Kaylie grande). Procedimento che innesca un meccanismo di svelamento progressivo: un frammento alla volta, scopriamo cos’era accaduto allora e quindi il perché di certe situazioni, comportamenti o contrapposizioni fra i due fratelli oggi.
Ma, mentre la terribile notte avanza e la sovrannaturale minaccia spalanca ancora una volta le fauci della sua trappola, il ritmo si fa più serrato e le allucinazioni sempre più minacciose: potentissima quella in cui Kaylie cambia lampadine addentando una mela e, all’improvviso, si sente la bocca piena di cocci di vetro e sputa sangue.
I piani temporali si confondono: i ricordi diventano visioni, sempre più realistiche (se qui l’aggettivo ha ancora un senso), le visioni del passato deambulano per la casa incrociando i personaggi nel presente… la madre impazzita (Katee Sackhoff, foto a sinistra e sotto a destra), il padre armato tornano dallo specchio a minacciare i figli adulti. I quali, scappando dagli orribili ricordi, hanno come degli improvvisi black out, da cui si risvegliano in posti/situazioni in cui non ricordano d’essere andati volontariamente, si mettono in pericolo da soli o si minacciano l’un l’altro inconsapevolmente.
Lo specchio si sta preparando a far di loro i prossimi killer/vittime del proprio nefasto influsso. Ma chi sarà stavolta a farne le spese?
Mike Flanagan, esordiente regista autore anche del soggetto e della sceneggiatura (tratti da un suo pluripremiato corto del 2005), non è Kubrick, certo: non riprende le stanze della sua casa maledetta con grandangoli virtuosistici né ha inventato nuove tecniche di ripresa per il suo Oculus (qui a sinistra un'inquietante locandina internazionale).
Ma sa fare il suo mestiere e ci serve il primo horror da un paio d’anni a questa parte che – anche senza riscrivere la sintassi del cinema – cresce progressivamente inchiodandoti alla poltroncina anche senza strafare in bagni di sangue ed effetti speciali. E alla fine (ardimento del giovane autore che non pensa ancora ad allattare le platee col lieto fine) ti taglia le gambe con un finale improvviso e tragico, che purtroppo non si rivelerà un’allucinazione fra le altre.
Come in Sinister, con cui Oculus ha in comune il tema della maledizione che passa attraverso l’atto del guardare: là i filmatini amatoriali apparsi in casa, qua lo specchio che funge da spiraglio (secondo significato del sostantivo latino, dopo “occhio”) verso il mondo dei morti. Morti causati dallo specchio stesso e da esso ritornanti nel nostro mondo a mietere altre vittime.
Quindi, specchio non come veicolo per vedere un altro sé, bensì come pertugio verso un Altrove, o meglio per il tracimare di qua di un Altrove immondo; il che allontana il riferimento all’Alice carrolliana (che al pensiero dello specchio verrebbe come primo riferimento), ma avvicina quello ad un’altra storica casa maledetta: quella di Sentinel del compianto Michael Winner, film del 1977 in cui appunto una stanza di una sinistra magione era una porta per l’aldilà.
Se siete fra quelli che lamentavano che da un po’ l’horror sembrasse sparacchiare un po’ a vuoto a colpi di remake, Oculus dovete vederlo: M2 Pictures lo fa tracimare nelle sale italiane dal 10 aprile.
Mario G