Nel 1987 andai a vedere il mio primo concerto del mio mito David Bowie a San Siro. Lo considero sin da allora il peggiore dei quattro che ho visto in tutto del Duca Bianco: era il suo peggior periodo, scaletta cogli hit più commerciali, persino Heroes svilita a canzonetta pop coi garruli assoli di Peter Frampton… e quel che è peggio, un’occasione perduta. La stessa sera – cose oggi impensabili – al compianto Rolling Stone suonava un altro peso massimo del rock: Peter Gabriel, all’epoca probabilmente in una fase musicale più interessante dello stesso Bowie, oltre che ancora vulcanico performer dal vivo (leggendari i suoi stage diving sul pubblico).
Probabilmente, se fossi andato al Rolling Stone invece che a San Siro, avrei visto un concerto migliore, forse uno di quelli che – in un virtuosistico montaggio alternato – la regia di Back To The Front (di Hamish Hamilton, QUI il trailer) giustappone alle riprese del concerto celebrativo del 21 e 22 ottobre 2013 alla 02 Arena di Londra. Ci fanno sobbalzare nell’hit dell’album So, Sledgehammer: un Peter Gabriel giovane e scattante, ancora coi capelli, si alterna al massiccio 64enne pelato e un po’ bolso di oggi.
Gabriel non è il primo ad autocelebrare un proprio album storico: qualche anno fa vidi all’Arcimboldi il bel concerto in cui Lou Reed riproponeva integralmente Berlin, quest’estate ho visto Patti Smith rifare Horses dal primo all’ultimo brano al Carroponte. Ok, siamo nell’era del “come eravamo”, ma in definitiva – al di là dei confronti ingenerosi – com’è oggi il “So live”, a 25 anni di distanza?
Premetto che all’epoca non comprai l’album (e tuttora non lo possiedo, buuu vergogna): pur essendo stato forse il suo più grande successo mondiale, e comunque baciato da critiche giubilanti, io lo trovavo un arretramento commerciale rispetto al precedente Peter Gabriel IV (l’album di Shock The Monkey, appunto), vertice della sua sperimentazione etno-avanguardistica. L’artista stesso lo definisce “il suo momento da pop superstar” e a me il Peter Gabriel commerciale (seppur sempre su livelli di classe mostruosi) non mi attirava mica tanto. E non sono pochi quelli che ritengono che, da So in avanti, Gabriel non sia più tornato a quei livelli.
Va anche detto che risentirsi, insieme alla mai amata Sledgehammer, monumenti come Solsbury Hill, Biko, Family Snapshot, No Self Control, è sempre un bell’ascoltare. E per di più suonati da una band (la stessa di 25 anni fa, certo) che – anche con le mani legate dietro la schiena – farebbe apparire dei dilettanti da oratorio tre quarti dei musicisti rock del pianeta: Tony Levin al basso e stick (una leggenda già al fianco di King Crimson, Reed, Tom Waits, Laurie Anderson, Dream Theatre, fino all’ultimo Bowie), David Rhodes alle chitarre, Manu Katché alla batteria, David Sancious alle tastiere, più due giovani coriste – Jennie Abrahamson e Linnea Olson – che definire coriste è riduttivo; l’una all’occorrenza imbraccia il violoncello, l’altra la chitarra acustica, o duetta collo stesso leader alla voce solista in Don’t Give Up (nella parte che all'epoca era di Kate Bush).
D’altro canto, però, non si può negare che nel concerto del 2013 la succitata gemma Shock The Monkey viene resa nella forma più anodina e scialba che mi sia mai accaduto di sentire. L’uomo che lasciò i Genesis nel ’75, dopo un vertice come The Lamb Lies Down On Broadway, uno dei pochi musicisti nella storia del rock ad aver saputo cambiare rotta totalmente, dando vita ad un percorso solista interessante e importante quanto quello col gruppo con cui era nato (svolte così radicali le trovo solo in Bowie, Tom Waits, forse David Sylvian e Julian Cope). L’innovatore che – insieme a Brian Eno, Robert Fripp, David Byrne, Laurie Anderson e lo stesso Bowie – ha realizzato la perfetta fusione fra canzone pop, avanguardia elettronica e ritmi etnici. Ecco, questo monumento vivente oggi non stupisce più, non sperimenta, anzi annacqua il suo classico in una dimenticabile versione semiacustica in cui prevale il piano rispetto all’elettronica dell’83.
È un suo diritto, no? Bisogna reinterpretarsi, anche a costo di sbagliare, lo diceva anche il (criticatissimo) Miles Davis degli anni ‘80. Chi se non uno come Peter Gabriel ha tutto il diritto di autocelebrarsi per una volta?
Ecco, sulla risposta a questa domanda – libera e soggettiva per ciascuno di noi – si gioca il giudizio finale sull’operazione Back To Front, nelle sale italiane dal 5 al 7 maggio 2014 (secondo la recente moda dei grandi concerti al cinema), dal 23 giugno in dvd e bluray per i fan.
Il mio giudizio? Una piacevole rimpatriata, ma un rimpianto per i tempi che furono e che non torneranno con le celebrazioni.
Ma, direte voi, a 64 anni chi è ancora rivoluzionario? Ecco, magari i Crimson Project, Tony Levin in comune, del cui concerto vi abbiamo già detto. Forse la differenza è che i Crimson – in tutte le loro incarnazioni – non si sono mai posti l’obiettivo di risultare “pop”.
Voi… beh, assaggiate l’uno e gli altri ed emettete la vostra sentenza.
Comunque decidiate, saranno ascolti d’alta classe.
Mario G
PS: foto tratte dal sito ufficiale dell'artista.