“If you have Ghosts, you have everything”
(Roky Erickson)
Tra il pubblico dei Magazzini Generali abbondano le loro magliette (anche prima dell’inizio), c’è persino un ragazzo in abito talare e face paint alla Papa Emeritus insieme a una ragazza vestita da suora: vuol dire che – forti di due soli album e un ep di cover – i Ghost hanno già creato intorno a sé un certo culto (come chiamarlo altrimenti?!). Che deve molto, inutile girarci intorno, alla loro minacciosa immagine di frati neri satanici da film horror della Hammer, sempre coperti dalle nere vesti rituali, mascherati, col cantante paludato appunto da anti-pontefice: mitria in testa, guanti e volto da teschio.
Aprono la cerimonia i Crimson Dawn, aspiranti Black Sabbath milanesi in formazione a sei elementi analoga agli headliner: due chitarre, tastiera, basso e batteria, con un cantante (Alessandro Reggiani, foto a destra) che immaginiamo sogni Ronnie James Dio ogni notte, ma sa il fatto suo (QUI una clip del loro brano omonimo). Per una volta, i suoni non umiliano il support act e il pubblico gli tributa il plauso che la band merita (che orrore il rifiuto che spesso viene riservato agli apripista): dai cori finali si capisce che anche loro si stanno facendo una fan base di tutto rispetto nella comunità metallica.Alle 21, puntuale, debitamente preceduto dall’atmosferico Miserere di Allegri, da Masked Ball di Jocelyn Pook (colonna sonora di Eyes Wide Shut) e da ampie effusioni d’incenso, il fondale da chiesa gotica irto di teschi (foto a sinistra) s’illumina di rosso, il migliaio di presenti esplode già carico, il Papa e i suoi nameless ghouls guadagnano il pulpito e la “messa” ha inizio.
Nonostante l’imagerie satanica, il loro suono non è black metal, né realmente doom (se non qua e là): è assai più dinamico e non privo di aperture melodiche, come del resto testimonia la scelta delle cover per l’ep If You Have Ghost (Roky Erickson, Abba, Depeche Mode e Army of Lovers, cioè “gli Abba moderni”), cui in concerto si aggiunge un’esplosiva versione della beatlesiana Here Comes The Sun (dal primo album Opus Eponymous). Direi che ci troviamo piuttosto dalle parti di un solido hard glam nella linea che va da Alice Cooper ai Sabbath/Heaven & Hell, Mercyful Fate, aggiornato all’era di Slipknot e Marilyn Manson. Certo, “un Papa non è Dio” e anche l’ugola d’oro di un King Diamond è lontana: l’Emeritus ha un timbro più grave, per cui qualcuno ha scomodato)persino Jim Morrison (sic!).
Ma, se il Re Diamante squilla più in alto e il Re Lucertola è un ghost evocato decisamente a sproposito, probabilmente è proprio Alice Cooper insieme al Reverendo (Manson) il giusto riferimento, non solo “sacerdotale”, per il canto del Papa. Il quale infatti sa anche carezzare qualche linea melodica: i 13th Floor Elevators echeggiano non solo nella cover, come sentiamo più chiaramente sui dischi, nettamente più melodici dell’impatto live (in fondo, senza il look demoniaco, secondo me non passerebbero neanche per vero metal ma più per dei garagers non lontanissimi dai Fuzztones). E, pur nelle limitate movenze consentite dal suo rituale paludamento e nella fissità espressiva del face paint, sa come tirarsi dietro i suoi fedeli con minimi gesti benedicenti (e anche qualche ammiccamento in italiano), farsi sostenere nei cori e scatenare il pandemonio al momento deciso.
Una regia scenica precisa al millimetro, al di là della messinscena sulfurea: prima del concerto avevo sentito due della security del locale dirsi che “finiva tutto alle 22,30” e infatti così è stato esattamente, comprese le due uscite per bis, apparentemente strappate a battimani e furiosi cori “we want more” ma evidentemente previstissime. E dunque: talento o furba pagliacciata? Quesito che nel tempo ha seguìto un po’ tutti i protagonisti della baracconesca scena glam: da Arthur Brown al citato Alice Cooper (persino a Bowie), dai Kiss fino al Manson, dai nostrani Death SS ai black metaller scandinavi. Tutta gente inizialmente trattata dalla critica coll’ironico sussiego riservato appunto a dei fenomeni circensi, salvo poi rivalutarli dopo decenni come dei cult inossidabili con una sostanza sotto maschere e ceroni.
Da qualunque parte vi schieriate, ai Magazzini Generali i Ghost hanno dimostrato che, pur senza dar vita a rivoluzioni epocali dal punto di vista strettamente musicale, il presente della provocatoria scena attualmente lo incarnano loro.
Prendete e mangiatene tutti.
Mario G
P.S.: le foto che illustrano l'articolo non si riferiscono al concerto dell'11 giugno ai Magazzini Generali: sono state scaricate da internet, Posthuman ringrazia tutti gli sconosciuti autori.