----------------------------------------------------------------------------------------------------------------
“I had too much to dream last night / Too much to dream
I'm not ready to face the light / I had too much to dream
Last night / Last night”
(Electric Prunes)
Dello stroncatissimo opus magnum del regista di Irréversible (già sommerso allora dalle polemiche per il Bellucci-stupro) s'è letto quasi solo peste e corna in giro: QUI curiosate un valido compendio delle stroncature con cui la Kritika - sempre pronta ad elargire quelle 2/3 stellette d'ordinanza ad ogni Scialla che le passi sotto il naso - ha bollato l'arditissimo esperimento lisergico del controverso regista francese. Cosa che paeraltro accade di regola, con ogni film un po' fuori dell'ordinario, di von Trier, Lynch eccetera; s'è detto fino alla noi,; quindi inutile ripeterlo: accade ora con Noé e tornerà ad accadere ogni volta che qualche visone 'oltre' s'affaccia nel campo visivo dei mediocri.
Quindi voi fregatevene e cogliete al volo l'eroico esperimento distributivo che ce lo porta in sala, in una decina di sale in tutt'Italia (a Milano per esempio è al Centrale in via Torino dal 9 dicembre, mentre a Roma non è ancora apparso, ci dicono): la sua obiettva difficoltà di fruizione per lo spettatore medio (e anche per il cinefilo medio) e il periodo natalizio temiamo lo giustizieranno nel giro di pochi giorni.
Cos'ha dunque questo Soudain le Vide/Enter the Void per rappresentare un'esperienza tanto 'oltre'? Come di ogni film che frantuma i codici tradizionali non è facile parlarne, ma potremmo definirlo un post-film con cui Gaspar Noé polverizza e riscrive in un colpo solo tutte le convenzioni del far cinema, seguendo (o perdendo) il filo etereo del viaggio extracorporeo che percorre un giovane pusher francese ucciso dalla polizia di Tokyo durante una retata (foto qui sopra a destra).
Fedele agli insegnamenti del Bardo Thodol (il molto citato Libro tibetano dei morti), l’anima del protagonista – distaccata dalle spoglie mortali – si libra sopra la città, contemplando in un’unica vertiginosa soggettiva.Il personaggio viene inquadrato solo una volta allo specchio, per il resto noi vediamo tutto attraverso i suoi occhi, quindi non vediamo mai lui (se non qualche volta di spalle), ma contempliamo le futuribili architetture della capitale giapponese dall’alto, caleidoscopi di luci al neon e insegne di locali equivoci (in cui la sorella del protagonista è lap dancer, come vedete nelle immagini ai lati), il destino del suo corpo (polizia, ambulanza, riconoscimento, cremazione) insieme a flashback asincroni della sua vita passata con la sorella, dall’infanzia alla separazione dopo la morte dei genitori in un incidente d’auto, l’adozione, il ricongiungimento a Tokyo.
Tutto in un colossale trip di stream of (un)consciousness lisergico, ritmato dalle musiche elettroniche di Coil, Throbbing Gristle (veri guru della techno trance di confine fra dance floor e psichedelia storica) e dal soundscape di suoni ambient-sperimentali assemblato per Noé da Thomas Bangalter dei Daft Punk (un bel techno trip anche a prescindere dalla pellicola, peraltro!). A proposito, la citazione garage-onirica in apertura è del tutto nostra, gli Electric Prunes (né alcun'altra band Sixties) non compaiono in colonna sonora.
Il regista, che si dichiara totalmente a-religioso, definisce peraltro il film non come il processo di reincarnazione di un individuo dopo la morte, ma in buona sostanza la sintonizzazione dei suoi sogni sulle frequenze dettate dal fatto che quando - questi viene ucciso - era in acido e aveva letto quel libro. Il quale, però, secondo noi non stava mica lì a caso; vedete un po’ cosa ne dice il Centro di Studi (sulle religioni) La Runa sul proprio sito: "L’asceta si esercita già in vita a cogliere l’attimo che sta 'tra' vita e aldilà; così come si esercita a cogliere il momento magico in cui la mente passa dalla veglia al sonno ovvero dal sogno del mattino – carico di premonizioni – al risveglio. Apprendere le fasi che succedono alla estinzione della esistenza terrena, imprimerle nella propria memoria di immagini per il tibetano vale come promessa di 'liberazione'".
Vi segnalo inoltre trailer e intervista col regista sul sito di Nocturno.
Soudain le Vide/Enter the Void, che trae ispirazioni visive da Inauguration of the Pleasure Dome di Kenneth Anger (altro bel viaggiatore onirico!), come anche dai trip al “Black Jack” di Strange Days della Bigelow, potrebbe sbrigativamente essere descritto come il viaggio finale dell’astronauta del kubrickiano 2001: Odissea nello Spazio (altro riferimento dichiarato per Noé) esteso per 150 minuti di policromie abbaglianti e stordenti.
Le quali – detto tra noi – riescono tra l’altro a rendere una versione assolutamente moderna dell’immaginario psichedelico, in nulla debitore verso i modelli classici (per intenderci, dallo stesso Anger a More di Barbet Schroeder, al finale di Zabriskie Point, o al trip nel cimitero di Easy Rider). Originale, come si diceva sopra, anche a livello musicale.
Per questo, consiste in un’esperienza che mette a dura lo spettatore medio, il quale ovviamente tende a ritrarsene infastidito o annoiato dopo un po’, accusando il regista di “compiacimento tossico”.
Voi non cascate in questa trappola, scoprite nell’ambiziosissimo progetto del regista franco-argentino uno dei rari “oggetti non identificati” capaci di smentire l’abituale generalizzazione secondo cui “tutto è già stato fatto”. E affronttea la prova con occhio avido come deve, cioè insaziabile come il drogato d’immagini burroughsiano.
Io credo che ne uscirete ne uscirete provati ma non pentiti.
Mario G
P.S.: questa recensione è liberamente adattata da un estratto della rubrica Ex-Cell firmata come Black M su NeXT numero 16, dove era inserita in un ampio servizio sul cinema 'onirico' (Fotogrammi da Sogno), che partiva da Inception di Christopher Nolan. Vi rimandiamo al magazine del Connettivismo per la lettura completa del servizio.