L’incontro tra due personalità di spessore unico come Sylvester Stallone e Walter Hill non poteva che fare ben sperare in una collaborazione da urlo. In realtà, pur non essendo un film memorabile, il loro Bullet to the Head (in apertura un teaser poster) è un saggio magistrale e furibondo su cosa significhi oggi e nell’industria hollywoodiana contemporanea fare un film autenticamente artigianale su una stagionata ma di fatto immortale icona dell’action movie qual è il nostro Sly, il simbolo, l’attore divenuto archetipo.
Giocano col tempo, Walter Hill (foto qui sotto a destra) e Stallone. Fanno un film che è reazionario e vecchio stampo nella grammatica di base ma lo girano come se fosse il più ipercinetico e giovanilistico degli action movies odierni.
Eternando così, in una forma definitiva e perfetta di film-testamento, l’icona stalloniana: una vecchia cariatide che a dispetto degli anni che passano continua a sobbarcarsi film fisicamente impegnativi quasi fosse ancora il ragazzo di un tempo, quel giovanotto che attraverso il cinema viveva sulla propria pelle l’essenza del sogno americano nella sua forma più vigorosa, diretta, che resiste al tempo perché non solo si prende gioco di esso, ma perché, cosa più importante, si prende anzitutto gioco di se stesso.
Bullet to the Head è infatti tra le altre cose anche una specie di mausoleo che sintetizza e isola l’ironia di Sly su Sly quasi fosse ormai un pezzo da museo, un patrimonio cinematografico universale, fonte di pura gioia vintage per lo spettatore più smaliziato e attento alle molteplici citazioni e al divertissement, goduria transgenerazionale e intrattenimento di sicuro riscontro.
Stallone, insomma, continua a promuovere sé stesso confermandosi business man non da poco, abile tanto nel circondarsi dei migliori professionisti quanto nell’eternare il proprio mito e far sì che continui a persistere con una forza d’urto spaventosa. A onor del vero non è infatti Hill che manipola Stallone ad insaputa del divo per imbastire un action vecchio stampo in stile anni ’80 come qualcuno ha pasticciatamente suggerito nel corso della masterclass romana col glorioso autore de I guerrieri della notte e Ancora vivo, ma semmai il contrario.
Bullet to the Head, indicato un po’ troppo generosamente (addirittura) come film di punta della rassegna, è lontanissimo dal cinema di Hill, dal suo classicismo polimorfo che sapeva adattarsi a svariati contesti di modernità senza cedere di un millimetro sulla pregevole fattura delle proprie abilità artigianali.
Qui Hill invece si piega, generosamente, con encomiabile modestia e, sia chiaro, senza perdere la sua efficacia e il suo impatto registico, a un vero e proprio film con Stallone, su Stallone e stringi stringi anche di Stallone, sorta di novello John Wayne, così come è stato definito da qualcuno, che attraversa i film che interpreta con una forza iconica talmente debordante da arrivare a poterne rivendicare perfino la paternità.
E’ il Mito che si ripropone in una forma sempre spaventosamente uguale, a legittimare questa reiterata, estenuata riproposizione di se stesso all’infinito, oggi di sicuro più unica che rara e comunque sempre assai poco comune, anche per le star del passato più stagionate e consolidate che continuano comunque ad essere amate e apprezzate pur non realizzando più moltissimi film né di gran qualità né direttamente riconducibili al passato glorioso o agli apici delle loro carriere.
Osservare Sly, la sua mimica rozza e rustica (qui a sinistra in piena forma, NdR), i suoi lineamenti scolpiti su una pelle che somiglia sempre più e ogni giorno che passa a un pasticciaccio brutto di cicatrici e testosterone è un pleasure (ormai neanche troppo guilty) non da poco, uno spettacolo molto simile a un rito che si ripete di volta in volta a cadenza regolare (si veda l’assai affine e nel suo genere ancor più “monumentale” I Mercenari), sempre godibile e sempre mortalmente divertente.Qui l’ironia fiocca, e il rapporto compagnone in puro stile buddy movie che lega il sicario Jimmy Bobo interpretato da Stallone e il sulla carta distante da lui anni luce detective di Washington D.C. Taylor Kwon è portatore di grasse risate.
Roba già vista, senz’altro, alla quale ci siamo senz’altro abituati ormai da molto tempo tanto che Bullet to the Head è un film che sappiamo istintivamente di aver già visto altre mille volte, ma il gioco continua a valere la candela, senza sentire su di sé il minimo peso di un acciacco o di uno stantio logoramento e continuando a intrattenere con immutata, spensierata goliardia.
Onore al merito.
Davide Stanzione