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The Ward, la follia secondo John Carpenter

Written by  12 Apr 2011
Published in Cinema
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Quando il cinema si fa troppo piccolo per un autore troppo grande: recensione di Marcella Leonardi dell'ultimo lavoro del Maestro, un altro caso di pellicola troppo frettolosamente bollata quasi da tutti come "minore".

 

 

 

 

 


The Ward segna il ritorno di John Carpenter: un regista che ha spinto il proprio pensiero ed il proprio cinema agli estremi, in una prospettiva in cui arte e vita sono posti l'una di fronte all'altra, un “doppio” separato dal filtro della propria visione.

 

 

In un universo – l'horror hollywoodiano – che si è fatto troppo piccolo per lui, con prodotti-fotocopia, in cui regna lo stereotipo ed il minimo sforzo creativo (quel tanto che basta all'adolescente brufoloso), insieme al Raimi di Drag Me To Hell ha avuto il coraggio di accettare materiale al di sotto del proprio talento per infonderlo del proprio stile. E' partito dal basso, da un prodotto modesto, per dargli vita elettrica: e questo intento si fa luce sin dagli straordinari titoli di testa. La stilizzazione di questa apertura, che traduce il visibile in vetri rotti con un'astrattezza metafisica, ci introduce esattamente al lavoro di Carpenter sulla forma.

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The Ward è il film di un autore, uno degli artisti più profetici e visionari dello schermo. Se si scorre la sua filmografia, ossessionata dai concetti di alterità e contaminazione, ci si troverà di fronte ad un lavoro concettualmente ed esteticamente immane. E' stato capace di squarciare abissi nella terra e immergere lo spettatore nella paura nera, archetipica di Prince of darkness (Il Signore del Male), quanto di fotografare il vero orrore della realtà che ci circonda in They Live (Essi Vivono), scorticando il paesaggio urbano. Ha filmato l'infezione, il parassita in The Thing (La Cosa, remake de La Cosa da un Altro Mondo del '51), il romanticismo e la pura emozione di Starman, fino a giungere al disincanto di Escape from LA (Fuga da Los Angeles), che esprime malinconicamente una delle più lucide riflessioni sul destino del cinema, mascherata da evasione ludica.

Carpenter si è immerso nella nostra povera umanità facendo un giro completo dell'universo e ritorno, passando da Marte in uno degli sci-fi più ribelli mai creati (Ghosts of Mars, Fantasmi da Marte). Poi, il nulla per anni (interrotto solo dai due episodi di Masters of Horror, Cigarette Burns - Incubo Mortale - e Pro Life - Il Seme del Male).

Non poteva che rimettersi in gioco con un film di genere, acconsentendo – seppur solo apparentemente – alle convenzioni che esso impone, ad una sceneggiatura semplice ed orizzontale, senza quei profondi attraversamenti verticali – fatti di significati stratificati, di spessori, di simbologie – cui ci aveva abituati.
Mantenendo un senso di grande modestia che è quasi commovente, il regista si serve The Ward per partire dal grado zero e mostrare come si fa: come si trasformano dati non nuovi in un film che è una lezione di estetica e di linguaggio cinematografico.

Il vero protagonista del film è l'occhio di Carpenter: questo sguardo che si posa e

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avvolge, che cammina lento nei corridoi e sbuca da grate nel soffitto, che controlla le sue protagoniste – sempre (come nell'immagine qui a lato) – dagli angoli più inaspettati, ad esaminarne la paura. Una tensione che è nei volti e nei corpi, nelle oscure stanze del reparto in cui si inseriscono come un bisturi i movimenti di macchina del regista: lenti, taglienti, operano sezioni della realtà filmata, ci fanno perdere nei corridoi e ci intrappolano in spazi angusti e claustrofobici.

Una direzione dal nitore classico che scruta, scava, analizza capillarmente, quasi che il “reparto” del titolo fosse una mente umana da esplorare; lontanissima dalla regia in perenne fast forward di tanto horror contemporaneo, che non lascia traccia né semina alcun germe speculativo.
Difficile, per il pubblico giovanile di queste sciocchezze, comprendere la maestria del linguaggio carpenteriano, lo sguardo con cui si fa vittima/carnefice, unito al destino delle sue protagoniste.

Chi filma la morte come fa Carpenter è un ossessivo compulsivo; non può smettere, ma lo fa soffrendo con le sue vittime e portandosi addosso tutto il dolore del mondo.


The Ward è scariche elettriche e coltelli negli occhi: nemmeno in forme d'espressione “innocue” come questa, Carpenter può esimersi dal rappresentare il suo pensiero pessimistico sulla crisi dell'identità umana ed il suo confrontarsi col male.

La riflessione sull'essere e il destino dell'uomo resta la costante del suo cinema, anche in un film medio che solo per un brevissimo scarto - fatto di marketing e leggi di mercato degli studios - non è riuscito a diventare grande quanto il pensiero che lo anima.


Marcella Leonardi

 

 

 


The Ward
Last modified on Tuesday, 12 April 2011 15:54
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