“Soltanto chi lascia il labirinto può essere felice,
ma soltanto chi è felice può uscirne”.
(da Lo Specchio Nello Specchio di Michael Ende)
Hazel (Chiara Salvucci) vive dietro una maschera nel castello di If, su un’isola deserta, accudita amorevolmente dal Capitano e dalla sua servitù: lui è un uomo anziano che la ama (come un padre? Come un amante?) ma la tiene reclusa come una perla nella conchiglia in questo maniero senza specchi, per impedirle di vedere che mostro è diventata dopo che l’incendio da cui lui dice d’averla salvata le ha deturpato il volto.
Il Capitano in scena non si vede mai fino alla fine, è solo una voce fuori campo nell’efficace soundscape di Gabriele Copes, che ci depista anche diffondendo inquietanti sussurri incomprensibili in grammelot: ma è un pigmalione amorevole o un Barbablù ammantato di buone maniere? Il dubbio se lo pone Françoise (Giovanna Rossi, già vista al Litta nel bellissimo Il Censore giusto 10 anni fa), l’infermiera assoldata dal Capitano per “curare” la malattia di Hazel.
Ma quale? L’infermiera s’accorge subito che la ragazza non ha nulla, se non la disperata solitudine di una prigioniera. Tuttavia sta al gioco, fingendo inutili terapie fantasiose per prolungare il proprio contratto, e il rapporto con la giovane, con cui lentamente sviluppa una crescente empatia, che arriva a lambire la passione. Anche perché la ragazza non ha nessun’altra amica in cui “specchiarsi” nel maniero desolato.
I rapporti si fanno via via più tesi: la presenza dell’infermiera manda in crisi la ragazza nel suo fragile equilibrio di dorata prigioniera, bambola vivente di un misterioso demiurgo; Françoise sa benissimo che non c’è nulla da curare e cerca di capire perché l’uomo ha segregato la fanciulla; il Capitano fiuta che qualcosa sta incrinando il suo castello di finzioni e si fa minaccioso.
Infatti Hazel non è affatto un mostro: lo crede non potendo vedersi ma in realtà è bellissima, come sua madre Adèle, prematuramente scomparsa e tanto amata dal Capitano prima di lei. Quest’ultimo è ormai ultrasettantenne e alla fine appare in scena (col volto di Gianni Quillico) armato di pistola per porre fine alla sfida che sta sgretolando il suo castello di sabbia. Ma chi sparerà a chi?
Nel finale dello spettacolo, la regia di Corrado d’Elia moltiplica i possibili finali del romanzo di Amélie Nothomb fino a sei differenti schegge di uno specchio che va in frantumi. A noi scegliere chi è morto e chi è fuggito da If verso nuova vita, in questa fiaba dark sentimentale che vira al thriller metafisico, proiettandoci riflessi del Minotauro di Dürrenmatt) (il personaggio solo nel labirinto senza coscienza di sé), o dell’Hor di Michael Ende (da cui la citazione in apertura e la litografia qui a lato del padre Edgar), di Occhi Senza Volto di Franju (dove però la ragazza era sfigurata davvero), di cui qui sotto vi ripassiamo una scena chiave.
Forte di una notevole scenografia (che vedete nelle foto di scena di Angelo Redaelli) col divano inquadrato fra tre pareti nere con le cornici degli specchi assenti e una finestra di fondo in cui noi spettatori vediamo danzare il riflesso di Hazel negato al personaggio, lo spettacolo di Corrado d’Elia prodotto dall’omonima Compagnia vanta anche un’efficace quanto incombente colonna sonora minimalista, che ripete ossessivamente due riff elementari di drum machine e pianoforte (che rielabora due momenti di Moments in Love degli Art of Noise) e due interpreti affascinanti ed efficaci (anche se forse con qualche passaggio un po’ sopra le righe), pur soffrendo leggermente –nella sua giusta brevità di un’ora e dieci – di qualche lentezza, dovuta essenzialmente al fatto che la scena di una nuova visita dell’infermiera e del relativo dialogo con la “paziente” si ripete più volte sulla medesima struttura.
Ma sono minimi dettagli in un impianto invece molto originale per il teatro italiano, che abitualmente snobba la narrazione (e l’intrusione di generi come noir e fantasy che qui potremmo osar citare) in favore dell’astrazione metaforica (il mitico “messaggio”), ma che qui funziona e “passa” anche senza disporre della messa in scena realistica del maniero e dei suoi spazi.
Non perdetelo, resta in scena al Teatro Litta fino al 20 marzo.
Mario G
Come sempre, in apertura l'omaggio visivo originale by Roberta G allo spettacolo (e al nostro articolo): intitolato "Specchio nello Specchio", libro mito della nostra art, che ci ha anche fornito l'immagine di Edgar Ende, tratta dall'edizione illustrata Longanesi del libro di Michael.