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Ormai era assodato che ricordavo parecchie cose: chi ero stato, cosa avevo fatto in quel lontano passato, perché ero ancora lì a vagare preda del karma, quasi fossi un Lare di me stesso.
Il mio quartiere si era risvegliato, circoscritto com’era da strade e antiche planimetrie, nel fulgore del traffico serale. Le vetrine si illuminavano e il periodo che andava verso la fine dell’anno portava con sé, come al solito, un senso di frenesia. La notte calava presto su tutto e rendeva intima ogni cosa, accompagnandosi a una sensazione di gelido, perché le insegne, le luci delle case e i fari delle automobili illuminavano soltanto ciò che era nelle immediate vicinanze, lasciando poi il regno del buio intatto e forse, ancora più inquietante, con tutte quelle ombre che vedevo spuntare da dietro i fusti degli alberi, da un angolo cieco, dal fondo del viadotto lì vicino che annegava nel buio, dai campi ora incolti poco distanti con fantasmi di fattorie sopra, appena tratteggiate. Percepivo anche, in aggiunta, un’orografia del luogo abbastanza diversa da quella che vedevano gli altri, soprattutto nei particolari, nelle balze, nei declivi. a commistione assurda eppure vera, vivevo contemporaneamente in due continuum distanti tra loro venti secoli e lo facevo con la naturalezza di una visione onirica da sogno lucido.
Io e loro del tempo antico eravamo di nuovo insieme a far cose, a lavorare e a riposare su pagliericci, ad affrontare la notte pesta armati di torce, con la gola arsa dalla polvere ingoiata durante il giorno, ad aspettare l’alba per tornare al lavoro nei campi, e mentre ricordavo ciò osservavo i palazzi ergersi moderni e scontati su questo spicchio di Roma, scrutavo la gente che si muoveva frenetica e dedita alle sue priorità, scontrandosi senza quasi guardarsi. Un suono di profonda commozione mi prendeva in gola, mi strozzava; mi voltai e riconobbi quel volto, senza averlo mai visto in questa mia nuova vita. Il fragore di secoli abbattuti in un solo istante mi sorprese con un colpo d’occhio vertiginoso sull’abisso del tempo, un’intera entropia di eventi vissuti insieme mi tolse il fiato.
I nostri occhi s’incrociarono, nessun bisogno di parole perché altri brandelli di antichi discorsi risalivano alla coscienza. Ci salutammo alla maniera romana, intrecciando i nostri avambracci con una presa salda, rapida, virile. Tutto il caos moderno che avevamo intorno si sospese e ci trovammo isolati in una bolla trasparente, capace però di tener lontano il computo temporale, come se fossimo sospesi su una cascata, isolati anche dal frastuono.
(da La mappa è una contrazione, per gentile concessione dell'autore e di Graphe.it)
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Dove conducono le interazioni tra passato, presente e futuro? Quello che avete letto è un brano indicativo del mood che ispira La mappa è una contrazione, il racconto lungo di Sandro Battisti (nella foto a destra), edito da Graphe.it nella collana eTales, curata da Luigi Milani.
Quali oscure connessioni legano il nostro presente e il futuro post cyberpunk di due tombaroli tecnologicizzati, a loro volta legati a doppio filo con Lucius e Gaio, due cittadini della Roma imperiale? Sono solo echi di una quotidianità vissuta da ognuno o c’è qualcosa di più? Sincretizzata da un simbolo, la visione del reale proposta da Sandro può culminare in un passato arcaico, talmente profondo da essere futuro.
E' una visione che fonde i postulati più spericolati della fisica quantistica (ossia la possibile coesistenza di dimensioni spaziotemporali differenti) con le intuizioni dell'occulto che dall'800 hanno nutrito la narrativa gotica. In una parola, il cybergoth cui l'autore aveva intestato il suo precedente blog (oggi Hyperhouse). Ma anche una visione che sfida orgogliosamente le leggi della narrativa, dissolvendo nel nulla dell'infinito siderale che attrae lo sguardo estasiato dell'autore i fili narrativi legati alle vicende dei suoi personaggi: l'uomo che cammina nella Roma contemporanea, il suo antico antenato, i tombaroli futuristici, lasciandoci del tutto ignari di dove condurranno i loro cammini paralleli.
Una scelta che ha riacceso un dibattito già aperto fra me e Sandro, sullo scrivere narrativa tout court e le aspirazioni di sperimentazione che si pone il Connettivismo (di cui lui è uno dei fondatori, oltre che curatore della rivista NeXT e di diverse antologie): dare inizio a una narrazione e poi lasciare incompiute le vicende dei suoi protagonisti, perché del loro destino e delle loro vicende all'autore non importa nulla -essendo i personaggi stessi un mero pretesto per sondare dimensioni postumane dell'essere e della realtà - è una forma narrativa assolutamente nuova e protesa verso orizzonti a malapena intuibili, o solo un tradimento del classico 'patto con il lettore' che ogni scrittore stabilisce?
E voi, lettori, cosa ne pensate? Come metaforizza il dibattito lo stesso Sandro, siete "psichedelici" o "blues"?
Perché non contribuite al dibattito lasciandoci la vostra opinione nello spazio qua sotto? Il file del racconto è scaricabile dal sito di Simplicissimus.it al modicissimo prezzo di € 2.99, quindi non vi resta che... leggere e dire la vostra!
Mario G