Durante l'esecuzione di Boris Godunov, una versione aggiornata del dramma di Alexander Pushkin, un gruppo di terroristi irrompe nel teatro tenendo il pubblico, gli attori e il personale come ostaggi.
E' questo il punto d'inizio del nuovo spettacolo proposto da La Fura dels Baus.
La versione di Boris Godunov della compagnia catalana non pretende di essere una riflessione politica o sociologica sul fenomeno del terrorismo. Il suo obiettivo è di immergere il pubblico in un'esperienza estrema. Riportare alla luce la funzione catartica del teatro e permettere al pubblico di vivere la terribile esperienza di una delle principali paure dell'era contemporanea: il terrorismo.
Ma torniamo in scena: a questo punto lo spettacolo, con astuta mossa registica, si sdoppia: mentre noi, pubblico, viviamo come ostaggi virtuali il presente dell’occupazione del teatro da parte degli attori-terroristi, la rappresentazione ci alterna periodicamente significativi flash della vicenda storica del Boris Godunov teatrale di Pushkin. Testo ovviamente non scelto a caso, trattandosi già in origine di una drammatica riflessione sui temi del potere e dell’arbitrio, dell’opposizione e dei suoi estremismi, della rivoluzione e delle sue violenze.
In fondo, il Boris Godunov furero è l’evoluzione del discorso politico iniziato con Imperium, solo che mentre quello spettacolo tornava alla messinscena primitiva e brutale della Fura delle origini, questo riesce a declinare l’impatto performativo fisico e “confrontational” dei catalani (lo sfondamento dello spazio scenico tradizionale, il coinvolgimento del pubblico) con l’articolazione di un logos, una riflessione profonda (e amara) sulle forme (e le ipocrisie) del potere, le trappole del radicalismo che si propone come “puro” solo in quanto estremo.
Dipanando questa trama, il testo riesce a far emergere – oltre al discorso sui Grandi Temi della Storia e della Politica – anche interessanti figure psicologiche tridimensionali (più rare nella drammaturgia furera) fra i componenti del gruppo terroristico, tutt’altro che omogeneo al proprio interno, come ogni gruppo umano: c’è il leader carismatico, il violento rozzo ma lucido, la giovane idealista ex attrice teatrale a sua volta, la donna matura e disperata per l’uccisione in patria del marito e del figlio, pronta a far esplodere tutto il teatro per portare a termine la propria vendetta. Facendoci tra l’altro riflettere acutamente su come facilmente, in questi momenti storici drammatici, svolte critiche che avranno conseguenze di portata incalcolabile possono essere determinate dai moti d’animo individuali di persone comuni, imperfette, limitate… come noi.
I Personaggi Storici non esistono.
Certo, non mancano anche gli altri elementi tipici del post-teatro dels Baus: su tutti, l’onnipresente video schermo. Meno “oggetto da mostrare” che in passati spettacoli della compagnia però, se capite cosa intendo, e più elemento drammaturgico necessario. I pannelli mobili che compongono il grande schermo alle spalle degli attori sono infatti lo strumento chiave dell’impaginazione dei diversi livelli in cui si stratifica l’opera: ci vengono proiettati i fondali d’epoca che costituiscono la scenografia del Boris Godunov “storico”; le riprese sgranate delle videocamere a circuito chiuso che mostrano le azioni dei terroristi fuori dall’edificio-teatro Smeraldo, i finti telegiornali con le cronache del sequestro e le scene in bianco e nero girate nel gabinetto governativo riunito per decidere la linea da tenere coi terroristi.
Una regia video veramente sofisticatissima, che s’incastra al millimetro con l’azione dei personaggi in scena; forse, agli occhi di qualcuno, anche una “sovrastruttura” ingombrante per la tradizione del teatro, che potrebbe far pensare a un palcoscenico “vassallo” dei media digitali. Tuttavia… è innegabilmente un elemento essenziale nella drammaturgia, non un orpello alla moda: tanto quanto i media sono ormai un attore fondamentale di un dramma politico come l’azione terroristica rappresentata, non semplici strumenti di “rappresentazione dei fatti”.
Andando a vedere il Boris Godunov della Fura, temevo che il pathos si sarebbe limitato al coinvolgimento del pubblico nella situazione-sequestro. Che – per quanto condotta ad arte – essendo comunque fittizia, alla lunga mi avrebbe stancato, riproducendo il problema di tutte le realtà artistiche shock, che nel tempo non riescono a mantenere la sfida nei confronti del pubblico al livello degli esordi. Bene, sono stato felicemente smentito, e con me quelli che ritengono che la Fura oggi sia solo un “baraccone pseudo alternativo”: la compagnia ha saputo fondere le proprie radici performative con le evoluzioni più recenti verso il teatro “tradizionale” e di testo (come il bel Metamorfosi da Kafka, pure visto allo Smeraldo qualche anno fa), in una nuova formula personale, che si avvale del meglio di entrambi i moduli per metterci di fronte ad uno dei drammi della nostra travagliata attualità: siamo vittime innocenti, solidali coi deboli che soffrono in altre parti del globo che il video di casa ci scodella a cena, o siamo tutti colpevoli di ciò che non abbiamo contribuito ad evitare?
Insieme al Blasted di Sarah Kane diretto da De Capitani e al MI AMI? di Syxty sempre in questa stagione, un altro esempio di teatro che riflette in forme ardite sul presente, sia quello storico-politico sia quello individuale-relazionale. Su cosa siamo diventati nella società più evoluta e “affluente” della storia del pianeta.
Non credete se vi dicono che si tratta di un'arte "vecchia", superata dai tempi.
Mario G