Se qualcuno di voi si stesse preoccupando, dopo aver ascoltato il recente Sanremo, la radio, ogni dannato medium che affolla le nostre orecchie, che l’hip hop abbia definitivamente occupato la scena del presente relegando il buon vecchio rock a una memoria del passato che fu, può consolarsi con una coppia di calienti album recenti o in arrivo: non sbancheranno quel che resta delle classifiche di vendita ma dicono di un eccellente stato di salute di quelle storiche radici blues da cui prese origine l’intero corso della musica che amiamo e che è fluito dagli Stones agli Zep, fino a Jon Spencer (da poco ripassato in Italia), Jack White, alle bollenti Deap Vally (invero dal drive rock più frenetico e punk che proprio blues) e finalmente agli svedesi Blues Pills, principale riferimento dei gruppi di cui qui si parla, che con Lady in Gold e il successivo tour (visto all’Alcatraz e a cui si riferisce la foto a destra) hanno riacceso la fiamma del XXI secolo sotto le ceneri del suono del Delta.
Ed è curioso poi che la nuova linfa blues sgorghi così calda tutta dai boschi gelidi del Nord Europa, più noti per il cupo black metal: Road Back To Ruin (copertina in apertura), quinto nuovo album del quartetto guidato dalla cantante Heidi Solheim (a destra), uscirà infatti il prossimo 19 aprile per Nuclear Blast (come il predecessore Ninja del 2017). La sostanza non muta particolarmente: la line up è sempre quella del quartetto chitarra-basso-batteria (dai nomi norreni illeggibili!), che sostiene con potenti riff hard rock di netta derivazione Seventies la corrusca vocalità della lead vocalist, vero punto di forza di questa (come delle altre) formazioni della falange neo blues.
Gli undici brani di Road Back To Ruin scorrono caldi ed energizzanti come ci si aspetta, praticamente registrati live in studio, con pochissime levigatezze di produzione ché tanto il suono dei Pristine quello è e rimane: qualche tocco di Hammond, evidente nel piacevole country di Your Song (ispirata al Neil Young acustico), ma soprattutto la sezione di 20 archi della Arctic Philharmonic Orchestra, che donano il caratteristico feeling jamesbondiano a Cause and Effect, indiscusso vertice melodico e compositivo dell’album, oltre che miglior proscenio per le notevoli doti vocali soulful di Heidi, insieme all’altro lento, la zeppeliniana (il riff di Thank You?), struggente Aurora Skies. Qualche coretto pure di gusto soul (Bluebird), il resto è vigoroso rock blues coerente col primo singolo Sinnerman di cui QUI vi offriamo il simpatico video: Landslide parte proprio come Let It Bleed di Jagger & Co, Blind Spot ha un riff incombente reso più minaccioso da un ipnotico… banjo, se individuo correttamente. Insomma, avete capito: l’ambiente sonoro è quello, sudato e sudista a dispetto delle nevi da cui provengono i suoi nuovi alfieri.
Un suono da cui sono stati prosciugati anche la risacca di organo e flauto sul bagnasciuga del prog di Reboot e gli echi di Santana nell’opening di Middlemen (dal loro terzo album del 2016, con più brani melodici e psichedelicamente aerei).
Più o meno quello che troverete nel quasi gemello album Look Into The Black Mirror (l'altra cover in alto, uscito nel 2018 per la Napalm Records, sempre etichette… esplosive!) a firma dei belgi Black Mirrors: altro quartetto di analoga composizione, guidato dal tonante vocione dell’ancor più giovane ma non meno grintosa Marcella Di Troia, di origini italiane, la cui esibizione di supporto al concerto dei Night Flight Orchestra (lo scorso dicembre al Legend di Milano) ha calamitato l’attenzione del Vostro Umile Fantarocker più degli stessi headliner.
Il problema di questi gruppi, a volerne trovare uno, è che forse tendono ad assomigliarsi un po’ troppo: del tutto analogo l’impasto sonoro hard blues guitar-bass-drums (con tocchi di Hammond, armonica, flauto e cori), analoghi i riferimenti stilistici ai Grandi Antichi della storia di questa colonna portante del rock, analoga la leadership di una cantante donna di gradevole aspetto ma soprattutto d’indiscussi mezzi vocali, ben al di sopra della media dei cantanti moderni in circolazione, come potrete apprezzare a vostra volta in ballate come Lay My Burden Down, o nel bel singolo Moonstone e nella più tosta Günther Kimmich, i brani già proposti con video clip.
Chiaro che se cercate sonorità assolutamente innovative che sfidino le vostre capacità di catalogazione e bizzarra originalità sbrigliata non è in questo Delta che v’immergerete. Ma, se invece cercate ancora un po’ di sano feeling e anche un solido saper cantare (che non guasta in una che canta, diciamocelo) anche senza astuti campionamenti, birignao tecnologici e altri giochini alla moda, siete arrivati al cuore del problema.
Buoni ascolti. Vedrete, saranno un gran piacere come non pensavate di risentirlo se non riscoprendo vecchi vinili dei Fleetwood Mac, Allman Brothers e Clapton company.
Mario G.
P.S.: le foto dei Black Mirrors sono state scattate da Mario durante il concerto al Legend citato.
Le foto dei Blues Pills, Pristine e delle Deap Vally provengono dai rispettivi siti o dal web (Posthuman ringrazia i rispettivi autori).