Abbiamo appena ricevuto Driven to Defiance (cover in apertura), decimo nuovo album degli Iconoclast, come sempre pubblicato Fang Records. Quatti quatti, sempre orgogliosamente underground e totalmente indie nella produzione/distribuzione dei loro spigolosi lavori, i due newyorkesi sono arrivati a festeggiare i 30 anni di scorribande musicali. Sempre nel segno del loro peculiare, immediatamente riconoscibile blend di jazz, spesso anche se non sempre free, musica contemporanea irregolare e rock isterico, triturato e sparato fuori dalla bocca del sax, da quella (spesso urlante) di Julie Joslyn (anche violinista e “cantante” del duo, anche se la definizione va presa alla larga con loro, come ogni definizione), dalle scariche della batteria di Leo Ciesa (a sua volta anche tastierista), dalle parti di un hardcore punk/thrash metal più cerebrale che nei gironi infernali del rock estremo.
Per il loro trentennale, i due guastatori zorniani (il sassofonista dei Naked City è da sempre il riferimento più immediato della loro formula) si sono concessi quello che nel loro aspro e pungente linguaggio deve suonare come un vero “tuffo nel sentimentalismo” (sempre definizione con le molle, eh): hanno spiritosamente riprodotto per il nuovo cd (dal titolo che tradurremmo emblematicamente come “spinti a resistere”) la copertina del loro primo parto, il remoto Sins of New York (copertina qui a destra), pubblicato nell’ormai lontano 1987 in formato, pensate un po’… di audiocassetta! Stessa posa, con qualche annetto ben portato sulle spalle, stesso bianco e nero bruciato da ciclostile punk, come l’epoca no wave/loungelizardiana (altro riferimento inevitabile) imponeva.
Quel che è cambiato, se non certo l’atteggiamento fieramente incendiario del duo verso la musica, è forse la maturità con cui Julie e Leo ora approcciano la loro magmatica materia prima: un concetto, anche questo, da prendere con molta elasticità, parlando degli Iconoclast, dato che anche nel loro ultimo album non mancano i brani brevi e urticanti cui ci hanno ormai abituati (come ad es. Spheres of Influence), però Driven to Defiance sfoggia un pizzico di maggior calma e rotondità rispetto al passato. Il passo lo dà subito Nothing Untold, 5’29” di lirismo coltraniano in un dialogo fra batteria (che apre con un bel solo rotolante) e sax, che potrebbe ricordare qualche momento estatico alla Kind of Blue (anche qui prendetelo come un riferimento ideale più che direttamente musicale).
Ma anche Part of the Hour, brano numero 9 sul cd, che dura appunto 9 lunghi minuti, aprendosi stavolta col solo sax e proseguendo sulla stessa onda del dialogo fra i due strumenti base dei musicisti, concentrato ed emozionale; unico brano tra l’altro ad avere anche un testo, sussurrato e poi urlato se non proprio cantato dalla Joslyn su un accompagnamento drammatico di piano offerto dal suo partner (che anche dal vivo sa alternare repentinamente tamburi e tastiere).
Trent’anni di suoni originali e indomiti sono un bel viaggio ed è bello pensare che nel tempo lascino un segno: io lo vedo non solo nelle sonorità massacranti dei nostrani Zu o negli strappi noisy dei Sudoku Killer di Caterina Palazzi, ma anche e soprattutto negli ottimi Mombu (visti live al compianto Arci Lo Fi), che degli Zu accostano il sax a una sola nuda batteria tribale, in una miscela secondo me molto Iconoclast (i più feroci peraltro). Ma anche, sulla scena internazionale, oggi non festeggeremmo la spregiudicatezza del suono “Coltrane meets Clash” (così lo definisce la sua etichetta) del lodatissimo Kamasi Washington con i Throttle Elevator Music, se il 36enne sassofonista che flirta coll’hip hop non avesse assorbito (insieme a Sun Ra e molto funk del Davis anni ’70) i ritmi secchi e nervosi della NY di James White, John Lurie e, perché no, anche degli Iconoclast.
Più funk e compatto, meno bizzarro negli accostamenti strumentali, più “nero” e meno incrociato con la musica sperimentale “colta”, il suo album Throttle Elevator Music IV (cover a destra) – con Erik Jekabson alla tromba, Mike Hughes alla batteria, Matt Mongomery alle tastiere/chitarra/basso e composizioni insieme al chitarrista/produttore Gregory Howe – sta nella mia personale top ten dei dischi da ricordare del 2016. Mentre Driven to Defiance è già un ottimo segno per il 2017 appena iniziato, insieme al non più accomodante Devil Is Fine di Zeal & Ardor, di cui abbiamo appena scritto.
Nonostante l’ecatombe di star dell’anno da poco concluso, la musica non è finita.
Mario G