“Mitici anni ’80, imbattibili: i Guns N' Roses, i Motley Crue, Def Leppard…
poi Cobain, quel finocchio, è arrivato lui è ha rovinato tutto”.
(Mickey Rourke in The Wrestler)
Quando un dialogo di un film riesce a definire una temperie musicale meglio di mille recensioni.
Nel bellissimo The Wrestler di Aronofsky, Mickey-The Ram-Rourke rievoca nostalgicamente l’epoca in cui è stato giovane e ruggente attraverso i suoi miti musicali, espressione di quella cultura un po’ tamarra (gli americani direbbero “redneck”) da whiskey-a go-go-bar. Peraltro, un filone tutt’altro che secondario nell’universo del rock, che non è certo solo musica per universitari alternativi (la fan base del grunge detestato dal wrestler) e fini intellettuali con Dylan, Zappa e Zorn sullo scaffale.
Un filone in cui sì, i Guns N’Roses hanno avuto fama planetaria vendendo milioni di copie, degnamente preceduti sul campo dai Mötley Crüe (di cui la Tsunami ha pubblicato in italiano la ricca biografia The Dirt di Neil Strauss), pure citati da Rourke.
Ma anche la band di Vince Neil e Nikki Sixx non era mica caduta dal cielo: nelle note di copertina del loro debutto Too Fast For Love (1981) Sixx dice che a scuola i compagni lo chiamavano “Alice Bowie” (!) per il suo look glam, ma la copertina parla chiaro: nel loro dna ci sono gli Stones (guardate come omaggiavano la foto di Warhol per Sticky Fingers, pare ritraente il... pacco di Joe D’Alessandro!), matrice originaria di ogni rock’n’roll animal che si rispetti, insieme agli Stooges dell'Iguana, ça va sans dire.
Nei ’70, il timone passa in mano agli Aerosmith, poi ai New York Dolls, da tutti considerati antesignani del punk (ma Julian Cope sul suo sito argutamente nota come musicalmente non fossero distanti da quel che i Kiss han fatto per anni su scala mondiale, pur stando in quota al metal).
E poi? Ma certo, ai finlandesi Hanoi Rocks, che con Bangkok Shocks, Saigon Shakes, Hanoi Rocks nell’81 ritinteggiavano di sonorità Eighties glam quell’immortale miscela che sta al perfetto crocevia fra hard e punk, condita ancora una volta con folte chiome ossigenate e cotonate e make up androgini. Miscela che fu d’ispirazione appunto per i Guns N’Roses, se Axl e soci ospitarono il loro cantante Michael Monroe al sax/armonica nelle registrazioni del loro Use Your Illusion I.
Ok, fine del tour de force, si ritorna al 2013: oggi Monroe pubblica il suo nono album da solista (Horns And Halos, cover in apertura) e, per metterlo insieme, si è circondato di una ghenga che è tutta un marchio di fabbrica: al basso Sami Yaffa (ex Hanoi Rocks e New York Dolls), alle chitarre Steve Conte (anche lui ex New York Dolls e Company Of Wolves) e Dregen (Backyard Babies, ex Hellacopters), alla batteria Karl ‘Rockfist’ Rosqvist (ex Chelsea Smiles e Danzig). Il cantante, come suo costume, non ci nega il suo sax e l'armonica, che conferiscono al suono quel minimo di varietà melodica dalla perentorietà dei riff chitarristici che t'inchiodano al muro uno dopo l'altro.
Serve sapere altro? Le coordinate del Monroe-sound son già tutte qui: l’ormai 51enne icona glam (che nelle foto vedete in posa colla band del disco accanto a un’immagine dei suoi early days) si riprende il posto che gli spetta, fra il compianto amico e sodale Stiv Bators (più Lords Of The New Church che Dead Boys) e i più giovani connazionali 69 Eyes, che passano per goth metal ma proprio nel suo glam r’n’r hanno le radici.
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{mosimage}Ma insomma, direte voi, questo Horns And Halos è un disco da prendere o no? La risposta sta in perfetto equilibrio fra i due opposti seguenti:
1. Ma va’, è la solita zuppa riscaldata un milione di volte, niente che non si sia già sentito.
2. Sicuramente, è una chicca di immutabile ma immortale r’n’r da strada.
Di quello che, senza pretendere di rinnovarlo granché (come già si diceva dei Chrome Cranks), han praticato negli anni Dictators, Chesterfield Kings, Lords Of Altamont fino a, oggi, gli Spiders, bella sorpresa svedese con una voce femminile invece che maschile (e ben tosta, controllatela QUI).
Nulla di nuovo? Perché, le fresche Deap Vally (su cui torneremo) fanno forse qualcosa di nuovo? Monroe potrebbe rispondere col sorprendente understatement dei colleghi New York Dolls, che intitolavano il loro album del ritorno One Day It Will Please Us to Remember Even This!
Primo singolo (e video) l’inno newyorkese Ballad Of The Lower East Side, anche se io consiglierei di partire dalla title track per capire che aria tira, approdando al riff funk di Soul Surrender come picco dell’album. Il resto… it’s only rock’n’roll (but we like it).
Mario G