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Forse qualcuno di voi avrà letto recentemente un paio di miei articoli cine-letterari sul sito di Nocturno. Lo spunto è nato dall’uscita dell’antologia Il Mio Vizio è una Stanza Chiusa, curata da Stefano di Marino per il Giallo Mondadori: una raccolta di racconti in cui il referente al b-movie (il giallo all’italiana degli anni ’70) era evidente sin dal titolo, di qui il collegamento diretto alla rivista-simbolo del genere in Italia.
Ho poi proseguito occupandomi di un paio di altri romanzi (usciti invece per Urania Epix Mondadori) i quali, anche se meno programmaticamente, erano comunque densi di atmosfere cinefile: Abel di Claudia Salvatori, ampio affresco apocalittico in cui i mostri (zombi, vampiri, licantropi e relativi incroci con gli umani ‘old style’) vivono fianco a fianco nel quotidiano di un’umanità OGM e moralmente molto più “mostruosa” di loro.
A parte qualche possibile riferimento a Land of the Dead di Romero (gli zombi evoluti) e alla saga di Underworld (l’antica rivalità vampiri-licantropi), il vero contraltare in pellicola di questo libro è il District 9 di Blomkamp, coi suoi alieni quotidianizzati nelle periferie della metropoli sudafricana.
Nello stesso articolo mi dedicavo anche a Bad Visions (sempre Epix), doppio romanzo di Danilo Arona che - ne La Stazione del Dio del Suono - riunisce elementi di horror rurale quasi avatiano (le sedute spiritiche degli anziani liguri) alla cronaca nera (le stragi da rave del sabato sera), alle memorie di antichi rituali fenici.
Ancor più interessante la seconda novella, Blue Siren, che cortocircuita insieme a consimili elementi dell’attualità e tossico-antropologici un vero gotico letterario inglese di fine ‘800 (Giro di Vite di Henry James) e le sue ben tre riduzioni filmiche, che sono Suspense (1961) di Jack Clayton con Deborah Kerr, Improvvisamente Un Uomo Nella Notte (1972) di Michael Winner con Marlon Brando, e Presenze (1992) di Rusty Lemorande con Julian Sands, Marianne Faithfull e Patsy Kensit.
Un iter pagina-pellicola che meriterebbe un saggio a sé (magari un giorno…). E se oggi esistesse ancora un cinema (de)genere italiano degno dei fasti passati, in grado di tradurre in film il libro di Arona, che nuova versione verrebbe fuori delle malefatte del torbido giardiniere Quint, della sua amante Jessel e degli ingenui demonietti Flora e Miles? Non lo sapremo mai, perché quel cinema in Italia non c’è più e non sembra ancora sul punto di risorgere in forze, né per Arona, né per l’Eymerich di Evangelisti né (si parva licet) per il mio Rave di Morte, ahinoi.
Ma la tentazione di sognarcelo ci porta a riflettere sugli interessanti cortocircuiti fra generi e linguaggi che stanno emergendo oggi che sulla scena letteraria si muove una generazione di autori che probabilmente hanno tutti visto cinema (e probabilmente ascoltato rock e sfogliato fumetti) prima ancora d’imparare ad amare la forma romanzo che poi hanno abbracciato come propria espressione.
E così, seguendo questo filo, rischiamo di perderci altre uscite pulp in edicola: infatti, ancora Stefano di Marino, sotto lo pseudonimo di Stephen Gunn, riporta in azione il suo storico Professionista jamesbondiano, Chance Renard, in Tiro All’italiana, spy story dai sottotesti politici uscita sotto la nera copertina di Segretissimo Mondadori.
Intanto, Barbara Baraldi (altra autrice ospite dell’antologia Il Mio Vizio, con Arona e Salvatori) pubblica su Giallo Mondadori Bambole Pericolose, teso thriller a base d’implacabili lady killer sexy e tarantiniane. Che si conclude con il racconto breve Schegge di Cristallo, in cui la dark Eva incontra – tu guarda i crossroads del pulp – proprio il Professionista Chance Renard di Di Marino.
E dal noir siamo slittati al fantastico per tornare al giallo e allo spionaggio. Ma il pulp nostrano non vive solo nelle collane da edicola dell’editore di Segrate.
Sempre la Baraldi e Di Marino, ad esempio, si trovano anche in libreria editi da Perdisa Pop: lui con Pietrafredda, sempre una vicenda di Chance Renard che combina atmosfere da Odio di Kassowitz ad un gusto revenge alla Peckinpah; lei col dittico La Collezionista di Sogni Infranti e La Casa di Amelia, noir tendenti all’horror sulle avventure della misteriosa Amelia dall’oscuro passato, un’altra minisaga su cui vorremmo tornare.
Nella collana Walkie Talkie di Perdisa (una delle poche che arditamente osano ancora trattare la merce scottante del racconto), tempo fa avevo letto il bel Si Muore Bambini di Nicoletta Vallorani, altra pregevole equilibrista tra noir e s/f, che oscilla fra poesia orrore e scenari cyberpunk (di cui è fra i pionieri italici) aprendoci abbaglianti scenari su uno degli orrori più blaterati dell’attualità: la violenza sui bambini.
Dal punto di vista cinematografico, accosterei l’antolgia della Vallorani a Lasciami Entrare, il bellissimo bildungshorror di Alfredson a sua volta tratto dal romanzo (omonimo) del connazionale Lindqvist.
E con questo coté ‘impegnato’ abbiamo messo a posto definitivamente anche i soloni convinti che la narrativa pulp sia solo un morboso compiacimento di sangue e sesso a buon mercato.
Ma a chi serve – direte voi – tutta ‘sta corsa in ottovolante fra libri-film-fumetti, e di generi così diversi? Serve a collegare, come dicevo all’inizio, articoli fatti e da fare presto, sia su Nocturno che qui. A farci riflettere che alla fine tutto è connesso con tutto, che ogni genere è solo a una sfumatura di distanza dall’altro. E che tra il cyberpunk, il postatomico, il thriller, il gotico lo slittamento è a portata di mano, per chi ha occhi e orecchie aperti e ricettivi.
Basta che il diavolo ti dia una spintina, no? Come fa nell’appena uscita raccolta di racconti horror sovrannaturali A Mon Dragone C’è il Diavolo (cover in apertura), di Giona A. Nazzaro (anche lui un nocturniano, guarda un po’, edito da Perdisa Walkie Talkie), in cui il diavolo abita le solatìe coste di un imprecisato Sud italico, caliente e superstizioso come l’Ibiza (o l’Amazzonia, o la Bassavilla?) di Arona. Racconti in cui i detriti non risalgono a recenti apocalissi nucleari e i mostri, i demoni non sono frutto della biogenetica, ma – diavolo d’un pulp – riescono a far fare alla gente delle belle mostruosità anche lì. Come il diavolo che nel racconto eponimo ordina al narratore di cantare le sue geste, una di quelle investiture che ricevevano i poeti antichi dagli dei.
Che il fil rouge di sangue che lega tutti questi libri alla fine non sia altro che l’orrore prodotto da noialtri infìdi umani?
Restate connessi, l’ottovolante è ancora in corsa.
Mario