"Avevo paura! Ho sbagliato! IO SBAGLIO SEMPRE TUTTO!"
Siete mai stati voi quelli che sbagliano sempre tutto?
Io sì. So come si sente Sara, la "sbagliata".
Io non sono obeso, non mi gridano "porcellino" dietro le spalle quando cammino per strada come a lei, in quell'assolato, meschino borghetto in Estremadura dove Carlota Pereda ha ambientato il suo film.
Però da ragazzino sono stato un po' bullizzato da coetanei teppistelli in quanto "debole", presunto "finocchio".
E' finita andando al liceo classico, lì ero addirittura il più "forte" (vedi un po'!).
Anzi no, terminata l'università sono tornato ad essere "lo strano" nei contesti di lavoro.
Adesso sono quello che scrive roba non ben classificabile, ora si chiama "di nicchia".
Pochi giorni fa, in palestra, un'anziana signora con cui ho scambiato qualche innocua chiacchiera su salute e forma fisica mi ha chiesto che lavoro facessi. Quando ho risposto "lo scrittore" ha concluso che sì, aveva intuito che dovevo essere "un tipo anomalo".
Io porto in giro una stranezza più "culturalmente nobile" dell'obesità di Sara, a volte posso fin vantarmene.
Ma sparire prudentemente come "uno qualsiasi fra i tanti", quello no. Mi è impossibile, o non ne sono capace.
E in un modo o nell'altro continuo a sbagliare. Come dicevano la maestra di prima e mio padre, dovrò sempre "rifare con ordine" tutti i compiti (giudizio poi finito nella nicchia del Buio in scena).
Però qui si parla di Sara (la bravissima Laura Galàn, dall'opimo phisique du role), non di me: torniamo a lei, che solo perché è la grassa figlia del macellaio del paese (perdipiù oppressa dalla madre incombente) subisce un più banale body shaming dalle amiche circa ventenni, snelle, carine e crudeli come si sa essere a quell'età coi propri simili-diversi col "sorriso insanguinato dell'innocenza" (Kundera).
Un crudele scherzo goliardico - le portano via i vestiti mentre è in piscina, obbligandola a tornare in paese in costume, lei che cerca di non far vedere a nessuno l'odiata ciccia, che esorcizza ingozzandosi di porcherie - la porta a incrociare il Destino.
Il Destino ha le forme robuste di uno sconosciuto, che le sue amiche le ha rapite col suo furgone. Il giovane è tutt'altro che sgradevole, addirittura è l'unico che "vede" Sara e quando sono vicini le rivolge tenerezze mute, persino qualche carezza.
Lui la vede, come ci si "fiuta" fra "diversi" (come a volte accade persino fra "artisti anomali").
Sembrerebbe il Principe Azzurro, se non fosse che lo Sconosciuto (Richard Holmes) è un serial killer, che le sue amiche le ha appese ai ganci di una stalla abbandonata come suo padre appenderebbe quarti di manzo.
Una non può più fare tanto la spiritosa.
La seconda le grida "mi hai visto nel furgone! Perché non hai fatto niente? Perchè?!"
La citazione in apertura è la risposta di Sara.
Desolata, banale.
Vera.
E tu allora cosa fai, quando la "persona giusta" che finalmente hai trovato è la più sbagliata del mondo, quella da cui dovresti fuggire a gambe levate invocando l'intervento della polizia (anche se i due rappresentanti della Guardia Civil del paese, padre e figlio, messi insieme sono furbi come il sergente Garcia di Zorro)?
Eppure basterebbe lasciarsi guidare dolcemente dal nuovo Principe Silenzioso per avere in mano le armi e gustarsi per la prima volta, e probabilmente l'ultima, il dolce sapore della vendetta sulle odiose stronzette meritatamente punite...
Qual è la cosa davvero "giusta" da fare, quando hai "sbagliato" per tutta la tua breve vita?
Quando l'orrore è più nei 'normali' che ti circondano che nel serial killer che li massacra?
Non è così facile essere "Tom Cruise" che salva gli innocenti lanciandosi da una fune con un coltello fra i denti, eh, vi è mai capitato, dopo una vita da "pulcino nero"?
Noi non ve lo sveleremo certo qui cosa sceglie Sara, invitandovi calorosamente a scoprirlo andando a vedere al cinema Piggy (Cerdita), che I Wonder spedisce nelle sale italiane dal 20 luglio: il debutto nella regia del lungometraggio di Carlota Pereda, la quale sviluppa un proprio precedente cortometraggio omonimo, pur con una produzione indipendente spartana (e stranamente girato in 4:3), povero di effetti speciali, utilizza al meglio gli scarsi mezzi rendendo perfettamente il clima afoso e sudaticcio in cui tutti i personaggi, giovani e adulti, sudano appunto, e sbraitano senza costrutto, come sempre fanno i "normali", che si sentono così confortati dal blaterare cose "normali", normalmente idiote - tutti - ogni volta che aprono bocca (a lato il poster completo, qui sotto il corto e il più in basso trailer italiano del film in uscita).
Riprese realistiche dell'ambiente dell'Estremadura, così simile (almeno ai nostri occhi) al Guadalquivir del bellissimo La Isla Minima del 2014, per un film senza neanche un po' (o almeno così è parso al sottoscritto) di color correction, oggi pressoché immancabile, per esaltare i toni ocra della terra e della squallida campagna di quel paesucolo insignificante, ma dove - come in ogni parte del mondo ormai - i tuoi chili di troppo vengono subito fotografati ed esposti al ludibrio social.
Ma il cui calore cresce a spirale anche senza saturazoine digitale, finché toglie il respiro anche a te.
Imprevedibile nella sua "normalità", meno splatter di quanto suggerirebbe il trailer qui sopra, più forte nella scrittura che nell'effettaccio.
Recitazione impeccabile e credibile di tutti, anche senza star nel cast, notevole la Galàn, che è in scena dall'inizio alla fine.
Ah, prima di entrare in sala, piano coi pop corn: son tutti zuccheri, eh.
Mario G