“E venne il giorno”, parafrasando Shyamalan: spasmodicamente atteso dai fantascientisti (noi compresi), lungamente rimandato causa Covid, preannunziato dalla distribuzione in sala del documentario sul “fecondo fallimento” del suo precursore Jodorowsky, esce da giovedì 16 settembre nei cinema italiani Dune, la nuova monumentale sfida del regista più coraggioso del pianeta, capace di rimettere mano 35 anni dopo a un classico intoccabile come Blade Runner, dopo aver già impresso il proprio nome a lettere di fuoco nel pantheon della grande s/f filosofica col bellissimo Arrival logico-mistico-linguistico.
Denis Villeneuve, novello titano, osa volare dove cadde il mitico Jodo e dove anche il genio del giovane Lynch s’infranse contro gli inesorabili diktat della produzione (De Laurentiis), che snaturò il suo Dune dell’84 nel tentativo di farne una space opera avventurosa che reggesse il confronto col blockbuster Star Wars, di “soli” 137 minuti (pare il girato durasse 5 o 6 ore), con irrimediabile scorno del regista.
E Denis Villeneuve vola alto anche su questa rupe pericolosissima, con una sicurezza registica che gli permette di dominare una produzione elegantemente sontuosa da 165 milioni di dollari e una materia che fa paura anche solo a doverla recensire: un romanzo di 500 pagine fitte (nell’edizione Cosmo Oro della Nord in nostro possesso, v. cover a lato), incipit di una sterminata saga composta da altri 5 romanzi, in cui il figlio Brian ha proseguito (come un Eletto della trama) il cammino tracciato da padre Frank, saga che ha fatto dire a gente del calibro di Lucas e Spielberg che la loro fantascienza cinematografica non sarebbe nemmeno esistita senza Dune.
Un opus monumentale che, se non l’ambìto film, ha ispirato quantomeno l’altrettanto monumentale opera fumettistica di Jodorowsky (L’Incal/La casta dei Meta-Baroni/I Tecnopadri), i cui disegni (di Moebius & “casta del Metal Hurlant” tutta) lo stesso Villeneuve annovera fra le proprie ispirazioni delle colossali astronavi monolitiche e “antitecnologiche” studiate per il suo film (intervista su Venerdì di Repubblica, 13 agosto 2021). Oltre ovviamente al trattamento fumettistico di Dune appena uscito per Mondadori insieme al prequel sul Duca di Caladan.
E c’è senz’altro molto Moebius nelle agili “libellule volanti” con cui i protagonisti Atreides sorvolano il desertico, conteso pianeta Arrakis, perciò detto “Dune”.
Non vi tedieremo col riassunto dell’opulenta trama di conflitto fra le casate Atreides e Harkonnen per il controllo del pianeta produttore della mistica, allucinogena “spezia”, ambitissima per potenziare le facoltà dei piloti di astronavi in tutto l’Imperium stellare: è fluviale, complessa, irta di metafore politiche (la lotta per il potere, lo sfruttamento delle risorse planetarie, l’oppressione dei nativi), mistiche (la misteriosa casta femminile delle Bene Gesserit, l’attesa para-cristologica di un “eletto”, il suo cammino iniziatico alla scoperta di sé); e soprattutto è già nota e sunteggiata ovunque. Villeneuve aderisce sostanzialmente al libro ed evita abilmente quelle interpretazioni/sintesi riduttive che mandano in bestia i fan.
La sua narrazione ha il passo ieratico e solenne della fantascienza mistica, ai confini col fantasy più maturo: quella che ci presenta il “viaggio dell’eroe” (saggio-bibbia degli sceneggiatori by Chris Vogler, basato sugli studi di mitologie e religioni comparate di Joseph Campbell nel pure monumentale saggio L’eroe dai mille volti), segue un andamento che nei suoi tratti essenziali si ritrova appunto nei cicli mitologici classici (tutti, dall’Iliade al ciclo bretone di Artù, dal Kalevala al Mahabarata, ma pensate solo a cos’è Virgilio per Dante nella Commedia1).
Viaggio iniziatico che nei suoi punti salienti – un eroe, un antagonista, un mentore, un talismano, un conflitto per conquistare un premio, una vittoria, l’amore – riassume in sé praticamente l’essenza, il dna di ogni narrazione, dall’Ulisse di Omero a quello di Joyce. Ciò che rende appunto la sci-fi/fantasy matura la prosecuzione della mitologia in forme letterarie moderne.
Villeneuve, da indiscusso maestro della regia quale ormai è, impagina questo viaggio in sontuosi panorami di... dune (ovvio!) e rocce tendenti all’astratto, colori sabbiosi e interni tetri e incombenti, fastosi costumi neorinascimental-cosmici, attraverso quei silenzi e quelle attese di qualcosa d’inespresso che sono il suo marchio di fabbrica da Arrival, che bene servono l’atmosfera mistico filosofica dell’opera e che sono una continua festa per gli occhi, anche quando rischiate di perdervi fra le intricate cospirazioni di corti spaziali degne dei Borgia.
Come di ogni opera larger than life, vi capiterà – come dubitarne? – di leggere in giro su qualche pregiato quotidiano nazionale stupidaggini tipo che il film ha “una parte centrale troppo lenta”, che sono un po’ come dire che la Bibbia “ha anche delle buone idee ma niente ritmo”. Ma sono quei redazionali svelti scritti da “penne medie” per essere letti dallo “spettatore medio” in tempi medi e dargli l’illusione d’aver capito in fretta se il film è da vedere o no. Carta igienica per il giorno dopo.
Fate come diceva proprio Virgilio a Dante: “non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.
Voi che leggete qui invece andatelo a vedere, lasciatelo crescere nei suoi 155 minuti di epos, e progressivamente sentirete crescere in voi l’inesorabile empatia per l’ennesimo viaggio eroico, sempre attraverso le stesse tappe, sempre appassionante come la prima volta, quello del giovane Paul Atreides (il 26enne Timothée Hal Chalamet qui sopra a sinistra) e della sua affascinante e combattiva madre-Gesserit dai poteri telepatici Lady Jessica (suadente e magnetica Rebecca Ferguson sotto a sin., che non si è mai sazi di guardare), circondati dall’opulento cast con Oscar Isaac (duca Leto Atreides, padre di Paul, nella foto in alto con lui), Josh Brolin (il roccioso Gurney Halleck), Stellan Skarsgård (l’immenso barone Vladimir Harkonnen, sopra a destra), il sempre minaccioso Dave Bautista, la velata reverenda madre-Gesserit Charlotte Rampling (qui sotto a destra con Paul) e Javier Bardem (il Fremen Stilgar).
La coprotagonista Zendaya appare ancora poco, perché il suo ruolo crescerà ora che Paul e madre trovano riparo fra i Fremen del deserto cui lei appartiene, ma proprio quando ahinoi termina bruscamente il film, lasciandoci assetati come nomadi nel deserto della seconda parte, sui cui tempi di gestazione purtroppo non si sa ufficialmente ancora nulla.
Secondo tomo nel quale speriamo di sentire anche la celebre Eclipse dei Pink Floyd, il brano da The Dark Side Of The Moon riarrangiato da Hans Zimmer per la colonna sonora del film da lui composta, che contiene anche le cornamuse usate in una parata militare spaziale (!) e un brano (Grains Of Sand) composto con Klaus Schulze (ex Tangerine Dream e Ash Ra Tempel), già autore di un concept album Dune nel 1979 (copertina qui a lato).
Il grande compositore tedesco – già al fianco di Villeneuve in quella passeggiata di Blade Runner 2049, dove doveva “solo” confrontarsi col tema immortale di Vangelis – per rendere i suoni “di un altro mondo, una civiltà non umana” (parole sue, dal press book ufficiale del film), ha usato molti cori femminili (talvolta con rimandi al Ligeti kubrickiano), fondendo ritmi etnici spezzati, spezia mediorientale intrecciata all'elettronica (con echi del Peter Gabriel di Passion) e a grandi squarci orchestrali contemporanei.
Mentre per il momento la cover floydiana si ascolta solo nel trailer (qui sotto)... ci saranno sorprese sonore nel secondo capitolo? Lo speriamo, perché sarebbe il collegamento ideale col progetto Dune di Jodorowsky, che com’è noto avrebbe voluto proprio la band di Waters & Gilmour per la colonna sonora, e sonorità diverse per i diversi pianeti del sistema herbertiano: un magma sonoro che (come l'altra prevista band di Christian Vader) sarebbe una leccornia ricreare oggi.
Frattanto, i collezionisti devono sapere che la colonna sonora del film verrà pubblicata in ben tre formati diversi: The Dune Sketchbook (Music from the Soundtrack), uscito il 3 settembre, Dune (Original Motion Picture Soundtrack), in uscita il 17 settembre (è quello che dovrebbe contenere il brano dei Pink Floyd), e The Art and Soul of Dune, in uscita il 22 ottobre prossimo, in accompagnamento all'omonimo libro sul film.
Dopo due titanici voli di Icaro, sembra che Dune finalmente abbia trovato il proprio "eletto" anche nel cinema.
Mario G
(1) Brano tratto dal mio articolo La pergamena e il cucchiaio per la cinerubrica Ex-Cell, sul magazine connettivista NeXT n. 13.