La passione musicale di solito esplode in ognuno di noi con una scoperta folgorante: sentiamo un giorno Satisfaction, Smoke on the water, Sunday bloody sunday o Heroes, e da quel momento scaviamo nella discografia degli Stones, dei Deep Purple, degli U2, di Bowie o di chiunque ci abbia conquistato come in un filone aurifero. Maniacalmente, e spesso anche un po' fanaticamente, costruendo barricate ideologiche che nel corso del tempo - se la passione dura - la maturità rivela insensate: il punk meglio del metal, il rock meglio della disco music? E allora perché saltiamo su come molle ancor oggi a sentire Miss you o Let's dance?
A un certo punto, magari mentre tentiamo di rendere l'emozione della musica in narrativa, ci accorgiamo che se un termine come "psichedelia" ha un senso non può essere che un unico, travolgente flusso sonoro, che contiene strutture sinfoniche, furore punk, martelli elettronici, dilatazioni improvvisate jazz, ballate e distorsioni. Che alla fine tutto contiene tutto.
Anche in teatro, Shakespeare o Brecht & Weill, ben prima del Living o del compianto Bob Wilson, sono diventati del classici perché nelle loro opere sapevano impiegare sia il registro alto (o tragico) che quello basso e popolare (o comico/satirico), lirismo e invettiva. Fassbinder è riuscito ad esprimere la propria visione in teatro, cinema e serie tv, pescando il personaggio di un'aliena mandata a studiare i terrestri come Phoebe Zeitgeist da un fumetto alla Barbarella (oggi in suo onore è il nome di una compagnia teatrale di cui anche noi abbiamo scritto più volte), per Sangue sul collo del gatto.
La danza offre un altro notevole contributo allo sviluppo di questa consapevolezza, pescando i coreografi le proprie colonne sonore vuoi da Bach, Madonna, Cage, dalla techno come dalla canzone francese o dal kabarett, senza alcun riguardo di genere: anche nei soli 35, trascinanti minuti di TANZANWEISUNGEN (It won’t be like this forever) del giovane coreografo tedesco Moritz Ostruschnjak ascoltiamo prima, a lungo, solo il ritmo (anche nel senso letterale dei saltelli in cui si produce il suo danzatore) delle Nike di Daniel Conant sulla piattaforma che vedete nella foto qui sotto, come un ring al centro della nuda scena del teatro Out Off (qui sotto prima del trailer), ormai verso la conclusione del festival coreutico Danae.
Un quasi hip hop di piedi su tappeto da danza in totale silence interrotto solo dopo molti minuti proprio dalla famosa Sound of Silence di Simon & Garfunkel, che nel corso della breve, varia ed energetica performance si alterna con un fulmineo frammento di Le Sacre du Printemps di Stravinskij e poi da un sarcastico brano electro dance dei tedeschi D.A.F. dell'81 (Der Mussolini, clip qui sotto), al quale verrebbe voglia anche a noi seduti in poltroncina di seguire Conant ballando.
Senza pretendere di essere un fine esegeta del segno coreutico, il flusso dell'ispirazione qui spazia senza soluzione di continuità dal ballo popolare tirolese dello Schuhplattler (quello degli schiaffi sulle cosce, qui fortunatamente non accompagnato dal letale yodel) ai movimenti dell'esercizio ginnico, ai saltelli della boxe, dai passi di grand jeté del balletto classico a quelli della break dance dell'hip hop del Bronx, legati fra loro dai gesti spigolosi di un teatro danza che potrebbe ricordare attimi di Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch - quei gesti quotidiani ripetuti istericamente -, il tutto intervallato solo dagli spiritosi cartelli portati in scena dal coreografo in veste di pin up da incontro di box, che ci tranquillizzano (durante lo Schuhplattler) che "non andrà avanti così per sempre" (!), che "presto dimenticheremo anche questo" e (verso la fine) che il ballerino "è andato di là un attimo ma torna".
Infatti torna, sempre serissimo come un Buster Keaton della danza (e silente, a parte un unico torrenziale monologo in inglese), lasciando alla follia dei movimenti il contrappunto spiritoso di diverse situazioni.
Dopo la conferenza stampa inaugurale, mi proponevo (mannaggia alla vita) di seguire maggiormente la rassegna di danza Danae, come anche quella dedicata a Jan Fabre nel medesimo spazio dell'Out Off che ha ospitato questo spettacolo sabato 8 e domenica 9 novembre. La visione di Tanzanweisungen (che in tedesco significa "istruzioni per la danza") ci fa pentire d'essere arrivati quasi alla fine di quel flusso.
Per fortuna, l'ispirazione è un flusso continuo infinito, ci sarà altro oltre, là dov'è diretto anche il mio Cortez regista romanzesco...
Mario G
N.B.: le foto n. 2, 3, 4 (lo spazio scenico) e 6 sono state scattate da MG durante la performance dell'8 con il cellulare: le abbiamo caricate (nonostante la tecnica imperfetta) a completamento del supporto iconografico sullo spettacolo.
Solo le 1, 5 e quella sopra il titolo sono immagini ufficiali, realizzate da Franz Kimmel e Wilfried Hösel per la compagnia.