Sembra che il nuovo horror francese abbia trovato nella campagna che si stende fuori dalle grandi città il proprio territorio d’elezione: Alta Tensione, poi Ils, Calvaire, adesso anche Sheitan, film diretto da Kim Chapiron ma prodotto oltre che interpretato da Vincent Cassel, che deve aver visto in questa ennesima rilettura del plot “ragazzi in gita trovano l’inferno fuori porta” una chance per esercitare le sue consumate doti attoriali in un vilain tanto fortemente caratterizzato da rivaleggiare col Nicholson di Shining.
Per carità, se ci specchiamo in quel che offre in cambio il cinema italiano c’è solo da inchinarsi, solo mi ha colpito che – riprendendo il genere horror sull’onda dei successi (e delle inquietudini) mondiali – il cinema di un Paese come la Francia, non molto più grande dell’Italia, scelga come teatro per mettere in scena le nostre paure più profonde proprio questo mondo “di frontiera”, che mi aspetterei più connaturato alla cultura degli sterminati Stati Uniti.
Comunque sia, la trama di Sheitan è forse l’aspetto meno interessante del film: date le premesse, si tratta di un classico impianto che mescola elementi ben oliati degli storici Un tranquillo week end di paura (i campagnoli deformi, incestuosi e selvaggi), Non aprite quella porta e Le colline hanno gli occhi, fino ai più recenti titoli francesi citati e, se vogliamo, allo stesso ciclo di Hostel (dove il “fuori” è semplicemente diventato “l’Est”).
Bisognerebbe concludere, visto Sheitan, che un thriller morboso di questo genere va affidato in mani (se non nipponiche) europee, comunque mai americane: quanto sono più realistici, rispetto ai bambascioni di Eli Roth, questi ragazzi tamarri, che s’azzuffano in discoteca, si parlano di scopate (notevole il flashback di Bart che narra un’avventura da camping con contorno di dettagli di frattaglie e animali a rendere la “bestialità” delle fantasie erotiche maschili!), ammiccano sfacciatamente (la bionda nipotina di Cassel), tentano il sesso a tre (la scena più hot del film, Roth se la sogna). Sono nervosi, scattosi, spesso banalmente antipatici, il più delle volte volgari, non hanno niente di “eccezionale”, di “eroico”, ricordano L’Odio e un po’ anche Irréversible.
Su tutti svetta il bieco Cassel, ma il gruppo è efficace nel suo insieme. Avevo letto un parere secondo cui il titanico Vincent reggerebbe tutto il film da solo: non è vero per nulla, i giovani figli della banlieu (tutti esordienti non professionisti) “fanno se stessi” senza mai sembrare i macchiete di “ggiovani” televisivi.
Ma non di sole interpretazioni vive il film di Chapiron: ci sono alcune scene che innescano anche riflessioni ulteriori: ad esempio quella della cena a base di carne di capra, in cui i dettagli sulle bocche e le forchette di tutti – selvaggio Cassel e ospiti – evidenziano il “pasto nudo”, la bestialità del carnivoro umano come fosse l’anticipazione della mattanza in arrivo.
Che, quando arriva, è ben girata, veloce, drammatica, frenetica, con continui stacchi di montaggio sulle azioni dei diversi gruppi di personaggi, che rilanciano continuamente la tensione e l’attesa della catastrophé. E poi, la vecchia casa di campagna sarà sì uno scenario sfruttato, come il magazzino pieno di manichini, ma quelle bambole appese nella stanza del giocattolaio… che chicca, Mario Bava ne sarebbe stato fiero!
In verità, c’è anche una scena che mi è parsa non del tutto risolta, il che è forse la principale pecca del film (insieme ai sorrisi ebeti sull’empio presepino finale), dato che il titolo a quello fa riferimento: il dialogo sulla religione a fine cena. Alcuni dei personaggi sono credenti, alcuni islamici per nascita (Sheitan si legge “shitàn” e significa Satana in arabo), altri prevedibilmente indifferenti alla questione. Il bieco Cassel sembrerebbe una specie di stregone pagano, ma… il tema trascendenza-violenza non arriva al segno. Forse era chieder troppo all’emergente Chapiron, ma se uno non ce la fa, si contenti delle tante motivazioni banali e quotidiane che ispirano violenza alla belva umana, no?
Per fortuna, a compensarci c’è la sequenza dell’incubo in sottofinale, che ci dà un fantastico elettroshock di dubbi angosciosi (“era tutto falso? Sognato?”), rimettendo tutto in cortocircuito con una forza d’immagini che farebbe felice il buon Lynch (a proposito, vi ricordo la sua mostra alla Triennale di Milano, dal 9 ottobre al 13 gennaio!), e aggiunge spezie oniriche a una vicenda fin qui giocata sul piano del realismo rurale (per quanto sopra le righe, da buon “realismo horror”).
Questa sequenza varrebbe da sola il biglietto di un film che, magari non sarà “il cult più oltraggioso del Millennium” (come recitano gli strilli promozionali, giocando sul brand del distributore), ma che ti tiene incollato alla poltroncina a dovere, compito ancor più difficile per un soggetto in sé non particolarmente innovativo, senza mai farti sentire il puzzo del già visto o farti prevedere l’arrivo di situazioni invece prevedibili nel loro sviluppo.
Merito perlopiù di quel clima di strisciante ansia creata dai giochi pericolosi dei ragazzi di campagna, che ti fanno presagire la minaccia incombente per un bel po’, prima che davvero esploda il thriller.
La pellicola esce nelle sale italiane il 12 ottobre e – come dicevo - vale una visione. Chi non lo trovasse in cartellone aspetti il dvd (sempre distribuito Millennium Storm), in uscita a dicembre.
E veda di non allontanarsi mai troppo dai centri storici!
Mario