La domanda chiave, come direbbe Lui, è:
“ABBIAMO ANCORA VOGLIA DI GIOCARE?”.
L’Engimista? Non ne ho visto nessun episodio precedente ma ne ho sentito parlare e, giunti al cinema, ho anche ricevuto una sinossi al volo dell’intera saga da Mario, a colpi di flash back e flash forward , tanto che quasi bramo che il film inizi.
Poi inzia per davvero e capisco che sono fregata.
Un passo indietro, come nella sua trama schizofrenica. Saw è la serie che ha rinnovato (con “carne e sangue”) il genere horror, quando di serial killer cominciavamo a sentirci sazi. Lo spietato demiurgo interpretato dal larvale Tobin Bell, che non uccide le proprie vittime ma le obbliga a prove tremende per riscattare la propria vita (e simbolicamente il suo senso), oppure a perderla per propria mano (per debolezza, paura, incapacità), è piombato come un ciclone in uno stagno in cui la serializzazione di cattivoni spettacolari aveva sempre significato solo ripetizione del già visto a scopi commerciali (i sequel del Silenzio degli Innocenti sono assai inferiori all’originale, non parliamo di quelli di Halloween o Venerdì 13).
Il Saw di James Wan, invece, benché nato da un’idea per un corto poi prodotta in lungo dalla Lionsgate, col suo successo ha alimentato almeno due seguiti del tutto degni d’esser visti.
Si dilatano gli spazi: dal claustrofobico bagno in cui sono incatenati i due uomini del primo film, quasi teatrale, si passa alla casa in cui vaga il gruppo di vittime del secondo, frenetico episodio (firmato Darren Lynn Bousmann), che incorpora dinamiche (e stile di regia) da videogioco; ogni stanza una prova, ogni prova perdiamo un personaggio. Col terzo, mentre la serie guida un blockbuster horror verso lidi finora impensabili nella rappresentazione visiva della violenza, si approfondisce però anche il discorso filosofico della sfida di Jigsaw, introducendo un tema mai toccato dai film di questo genere: il perdono. La vittima dovrà usare il libero arbitrio per assecondare il proprio istinto di vendetta (che porterà a versare altro sangue), oppure rinunciarvi perdonando e mettendosi in gioco personalmente per salvare proprio l’oggetto del proprio odio.
Forte, no? Molto forte. Ma poi?
È col quarto episodio, sicuramente il più transitorio, che il gioco comincia a mostrare la corda: non commercialmente (con Saw IV la serie batte i record d'incassi dei Venerdì 13), ma drammaturgicamente. L’allungarsi di una trama che è sempre abilmente concatenata, l’aumento dei personaggi di cui tener conto, i rimandi temporali ad episodi precedenti cominciano a dare al franchise cinematografico l’aspetto di un serial televisivo per i multisala (e gli stomaci forti).
L’esempio di Lost è dietro l’angolo (anche se qui il fantastico non c’entra): un plot che si dilata a spirale, andando avanti con la storia ma anche riaprendo i cassetti del passato per spiegarci “com’è accaduto che” e trovare spazio e motivazioni a nuovi personaggi. Risposte che aprono solo altre domande, diverse azioni che si svolgono contemporaneamente con un montaggio a rimbalzi a volte fin stordente.
Ardito, sì, ma ti resta la sensazione che alla fine il gioco rimandi solo a se stesso, avendo ormai diluito gli interrogativi filosofici smossi dai primi episodi sull’ottovolante dei colpi di scena.
Ora esce nelle sale italiane Saw V. La sesta puntata è già in lavorazione.
Altro giro, altra corsa. Non del tutto: anche qui c’è uno sbirro che si dibatte nel labirinto di Jigsaw, come nel precedente. Anzi, sono due, uno buono che indaga e uno cattivo che diventa allievo dell’Enigmista per coprire le proprie vendette personali. Ancora un gruppo d’innocenti forse non del tutto innocenti a giocarsi pelle e dignità fra le sue trappole.
E noi? Abbiamo sempre voglia di giocare?
Dilemma atroce come i tormenti ideati dal defunto John Kramer: è chiaro che l’operazione ormai è essenzialmente commerciale, però va anche detto che non si riesce nemmeno a sottrarsi tanto facilmente al suo perverso meccanismo. Specie se visto in sala, la livida fotografia sempre notturna del fidato David Armstrong, i borborigmi postindustriali di Charlie Clouser (ex Nine Inch Nails, fin dall’inizio autore delle colonne sonore della serie) non possono non prenderti alla gola e generarti un qualche turbamento.
Quindi andremo avanti all’infinito nella “lostizzazione” del tema? Finchè ci sarà un dollaro da spremere ad un pubblico avido di colpi bassi?
Già, il pubblico… guardiamolo un attimo: milioni di persone in tutto il mondo… ma come fanno a mantenere l’attenzione e la fedeltà richieste da una trama così complessa, i cui episodi nemmeno vanno in onda uno alla settimana?
Si perdono e se lo “godono” così come viene? Allora le nostre riflessioni sul senso del concept e sui suoi quesiti etici non le sfiorano nemmeno.
Se è così (e non è improbabile), c’è di che preoccuparsi: saremmo di fronte davvero a un “torture porn” che serve solo a saziare i più bassi istinti di un’umanità da circo dei gladiatori e dei leoni. Un’autostrada in cui contempliamo in coda il sangue caldo dell’ultimo incidente d’auto.
Capite che anche il recensore è prigioniero di un grave enigma. Ma ha imparato qualcosa dall’Enigmista? Sì, ha imparato. Infatti ha portato con sé un’allieva, “la sua Amanda”: un occhio vergine di ogni Saw precedente, che guarda l’ultimo prodotto spogliato di ogni sociologia, come un oggetto cinematografico a sé stante.
Non è il mio genere di cinema. Eppure sono inchiodata alla poltrona, scossa, neanche mi stessero facendo un elettroshock.
Sarà un effetto incluso nel prezzo? Sono in preda a una sensazione indefinibile: vedo scene che non vorrei vedere e che mi fanno sentire come non vorrei, ma non posso fare a meno di continuare a guardarle.
L’empatia è immediata, mi chiedo cosa farei al posto di quei poveretti, entro nelle loro teste e purtroppo indirettamente anche nei loro corpi lacerati.
Questo è il tranello di Saw: ti trascina in un gorgo che ti lascia stremato, ma in cui scegli liberamente di entrare.
Sai che ne uscirai… Quello che non sai è come.
E qundi? Saw V va visto o va evitato? Fate la vostra scelta, amici.
E quando uscirà il VI ci ricascherete? Sì, probabilmente sì.
Io mi giocherò la mia partita. Sperando che gli autori ci regalino un twist finale in cui a subire il contrappasso dell’Enigmista sia chiamato proprio l’occhio impuro dello spettatore, ultimo cerchio della spirale.
Ma probabilmente non ci sarà Cristina, che ancora sta cercando di scacciare i flash di questa visione. O no?
Mario G, con la partecipazione dolente di Cristina L
N.B.: venerdì 5 dicembre, giorno in cui il film esce nelle sale, alle 14,30, va in onda su Ciao Radio la presentazione live del film, durante la settimanale puntata de Il Cinema alla Radio, condotto da Debora Montanari in collegamento con Mario.
Ascoltate CiaoRadio su FM 90,100 o 91,200 nell'area di Bologna. Oppure in streaming online.
Posthuman staff