L’ambientazione rurale ha smosso l’inevitabile paragone con Non Aprite quella Porta (e tutto il suo ragguardevole seguito, dalle Colline di Craven e relativi remake attuali di ambo i capostipiti, fino all’australiano Wolf Creek e al francese Alta Tensione).
In realtà, le vicende del cantante girovago Marc Stevens, che si perde nella “selva oscura” (e geograficamente indefinita), finendo ostaggio del folle albergatore Bartel e dei suoi selvaggi compaesani, ricorda più da vicino i due citati capisaldi del “country-thriller” di Sam Peckinpah e John Boorman: quest’ultimo perché anche Calvaire ci mostra l’odissea di un personaggio presumibilmente “cittadino” in un ambiente agreste ostile e brutale anziché pulito e idilliaco come prevedono i nostri cliché. Il Cane di Paglia invece è apertamente citato nella (bellissima) sequenza dell’assedio con massacro che i paesani sferrano all’auberge Bartel e al prigioniero Marc, in cui tutti vedono l’incarnazione della scomparsa moglie dell’albergatore, che deve aver fatto perder la testa a più d’uno al villaggio (peraltro privo di donne), anche se i reali antefatti della vicenda ci restano celati.{mosimage}
E qui sta forse il principale limite della pellicola, che le preclude l’assunzione nell’empireo del “gotico-rurale”: una sceneggiatura non perfettamente risolta, laddove quei due capolavori dei ‘70 erano macchine oliatissime nella definizione dei caratteri e delle loro motivazioni. Qui invece il regista spiazza con una vittima (volutamente) incolore e meno “simpatica” del vitale carnefice, ma l’incomprensione dell’anoressia emotiva del primo e della follia del secondo c’impedisce di sentir lievitare le lunghe scene senza azione e i “dialoghi fra sordi” verso una dimensione più compiutamente esistenzialista. Così restano un po’ incompiuti, ci rimane il dubbio di dove il regista volesse realmente andare a parare…
Anche se il giovane Fabrice Du Welz, al debutto nel lungometraggio, cita con pertinenza ben altre e altolocate referenze: dall’Hitchcock di Psycho, omaggiato nelle scene della cena all’austera locanda (dall’arredo scabro e dai colori sempre più scuri), al Polansky più angoscioso, nella surreale danza macabra dei bifolchi al bar, che caracollano come zombi sulle note martellate al piano da uno di loro (ah, lo sentisse Tom Waits…!).
Più in generale, depongono a favore del film, che si situa comunque una buona spanna al di sopra della media delle produzioni horror contemporanee, una notevole fotografia di tutti gli ambienti e del paesaggio, una natura estranea e minacciosa che segue il precipitare della vicenda come un ulteriore personaggio di “osservatore muto”, trascorrendo dalla nebbia (confine fra mondo “normale” e follia) alla pioggia, dalla neve al fango, dai boschi tenebrosi delle favole di quando eravamo piccoli (persino con bambini-nanetti tutti rossi) a un antinferno desolato di sterpi, sabbie mobili e pietrame nel finale, in perfetta sintonia con il calvario del protagonista.
L’espressionismo esplode nella scena della sparatoria al casolare, girata con gli scatti epilettici di MdP e le distorsioni visive di un quadro di Bacon in movimento.
Ma non è tutto: Du Welz è maestro anche nell’uso del suono accostato all’immagine: a fronte di villici che vivono, s’aggirano sempre insieme ad animali e pure ci si accoppiano, il regista riduce progressivamente anche il dialogo fra umani a un inquietante guazzabuglio di gorgoglii e rantoli belluini (tutti, vittime, predatori, feriti…); come a sottolinearci l’impossibilità della comprensione reciproca in questo microcosmo di follia violenta, in questo serraglio di uomini-bestie.
In definitiva, se non un capolavoro, Calvaire è sicuramente un thriller degno di nota nel panorama attuale, che non sfigura affatto a complemento dell’ideale trilogia del”rinascimento horror” francofono, accanto all’Alta Tensione di Aja e al recente Ils (di cui è imminente lussuosa edizione dvd, pure distribuita da Millennium Storm come Calvaire). Qui, invece, trovate negli extra un ricco making of con interessante intervista al regista, che spiega con trasporto le sue scelte e le riprese di alcune scene.
Buona via crucis e a presto!
Mario G