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Benji / Psicosi delle 4:48 - pezzi di femmine in pezzi

Written by  28 Nov 2012
Published in Teatro
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Il dittico Claire Dowie/Sarah Kane in scena al Teatro Litta di Milano fino al 2 dicembre è un saggio di puro e squassante teatro di testo. Scena spoglia, parole dritte in yer face. Da vedere assolutamente.


Una sorpresa.

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La fulminante coppia di atti unici Benji di Claire Dowie (del 1987) e Psicosi delle 4:48 di Sarah Kane (del 2000), esponenti della medesima corrente in yer face della drammaturgia britannica anni ’90 (quella dei Ravenhill e dei Neilson) è una rigenerante scossa di teatro puro.

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Scena quasi spoglia: una sedia, un dipinto infantile sullo sfondo per Benji, un sipario e un microfono per Psicosi, chiuso da una cascata di paillettes di neve.
Una regia asciutta (della trentenne Valentina Rosati, proveniente dalla fucina di Carlo Cecchi), che punta tutto sulla forza dell’interpretazione di due attrici giovani quanto intense: Silvia D’Amico (nelle foto qui a destra e a sinistra) per Benji, Barbara Ronchi per Psicosi.
E sui testi: due autentici diretti sul muso del mondo, accostati per completare una serata che la brevità di ciascuno da solo non riempirebbe, formano un micidiale dittico del mal di vivere al femminile.

Intendiamoci, nulla di “femminista”, niente lagne sulla giornata della donna: qui si riversa sul palco un autentico disagio, viscerale, incurabile, senza nome né spiegazioni. L’incapacità di essere “normali”. Di “starci dentro”, come dicono i ‘ggiovani, nella piatta geometria del vivere quotidiano, di corrispondere alle attese dei “normali”. Di trovarci un senso, di trovarsi un posto nel mondo.

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La donna di Benji (un’adulta nel testo, riportata all’infanzia dalla regia) si crea un’amica/o immaginaria/o, Benji appunto (Gabriele Portoghese, nella foto a destra abbracciato a Silvia D'Amico), cui attribuire tutte le marachelle che la porteranno dalla famiglia alla scuola verso la solitudine, fino in manicomio. Fino a costruirsi un barlume di “normalità” affettiva solo attraverso l’accudimento di un altro essere vivente, un cane randagio come lei, cui darà proprio il nome della’mica/o fantasma.

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L’alter ego di Sarah Kane in Psicosi delle 4:48 percorre il “viaggio al termine della notte” senza lieto fine, che ormai sappiamo essere culminato nel reale suicidio dell’autrice.
La Kane ha donato al proprio testo più disperato la luce più inquietante dello “scritto nella carne” e nell’ora più buia. Quella che cita anche Danilo Arona nel suo L’estate di Montebuio (di cui vi segnalo a breve l’uscita del seguito L’autunno di Montebuio).

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Anche in questo testo estremo, a Barbara Ronchi (foto qui e sotto a destra), che si taglia le braccia col rossetto e invoca la morte a sollievo di un’angoscia esistenziale tanto inspiegabile quanto assoluta (è psicologica? Sociale? È il Male Assoluto che tracima dal grumo nerastro narrato da Arona?), fa da contrappunto Gabriele Portoghese, voce fuori campo di un invisibile psichiatra, impotente a toccare le corde spezzate dell’anima di Sarah (inutile qui parlare di un “personaggio”) con le cure mediche “normali”.


Praticamente è tutto. Ma è forte.
Quindi non ti fa sentire bisogno d’altro. {mosimage}

Meno di un’ora e mezzo per pensare che, anche così spoglio e “povero”, può ancora avere un senso far teatro anche nell’era del cloud.
In scena fino a domenica 2 dicembre, non lasciatevelo scivolare via.


Mario G


PS: durante il tragico “ultimo spettacolo” di Psicosi si ascolta la bellissima Life On Mars di Bowie, ma segnaliamo che i Tindersticks hanno fatto una canzone ispirata (titolo e testo, il video su YouTube è apocrifo) direttamente a Sarah Kane.

Last modified on Wednesday, 05 December 2012 12:50
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